Scritto da Giorgos Tsiklis volontario S.V.E. presso Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII nel progetto #European Roots: youth for a better Union

Una casa ha quattro mura ed un tetto che proteggono dal freddo e la pioggia, ha anche una porta e finestre in modo da lasciare entrare la luce e l’aria. Avendo una casa alle spalle, ci si sente sicuri anche a partire. Ogni giorno scappiamo da lì, ma la casa c’è sempre per tornare quando ne abbiamo bisogno. Oltre che un simbolo, però, ha anche sostanza fisica, è un posto dove si concentrano tutti i suoi significati. Piccola o grande può essere un edificio che costruisci con le tue mani e sudore o uno già pronto che compri in cambio di denaro o a volte non lo scegli, ma lo trovi al momento in cui ne hai bisogno, in un posto che sia aperto per ospitarti a breve termine o no. Comunque, per guadagnarsela, richiede qualche sacrificio personale, perciò da quel momento fa parte di te stesso. Perdendo la tua casa sembra che sparisca una cosa essenziale dalla tua storia.
Sei mesi fa ho deciso di lasciare la mia casa. Allora, la casa che mi ha accolto a braccia aperte si trova in un piccolo paesino del centro-nord Italia. CasaMondo, cioè “casa del mondo”: si chiama così una delle tante strutture di accoglienza per i richiedenti protezione internazionale che operano in Italia. In queste strutture abitano i richiedenti asilo finché la loro richiesta non sarà esaminata da una commissione speciale del Ministro degli Interni del paese. Qui, partecipano a varie attività che hanno lo scopo di facilitare la loro integrazione nella società italiana. Una casa “scalo”, dunque, in cui devono vivere per forza. Io invece sono qui perchè ho avuto la possibilità di scegliere. Volevo ritrovare quello spirito di umanità che mi ha ispirato a scegliere i miei studi e che avevo perso tra l’ansia per ottenere risultati buoni all’università e programmare una carriera non tanto necessaria. Loro, però, non lo hanno scelto. E così ci siamo trovati tutti insieme con motivi molto diversi, ma sempre umani, sotto un tetto unico.
Nella casa abitano circa 22 persone. Quindici richiedenti asilo, da paesi diversi, di età tra 19 e 35 anni, cinque italiani di regioni diverse, due volontari, uno dalla Grecia e uno dall’Egitto; un sacco di persone di culture diverse con abitudini quotidiane spesso contrastanti e altri modi di essere. In quale lingua comunicheremo? Abbiamo fatto un conto veloce. Qui si parlano più di 18 lingue! E’ importante essere motivati ed avere buone intenzioni. Ed è questo smarrimento davanti alla barriera della comunicazione che te lo insegna. Quando all’inizio non capivo un’acca di Italiano, la lingua franca della casa, mi sono sentito aiutato dai ragazzi ad integrarmi più che il contrario. Ma perché dovevo andare in Italia per aiutare i rifugiati? In Grecia ce n’è già un gran numero. Il viaggio lontano dalla mia casa, il mio paese e i miei mi porta un passo più vicino a loro. Mi circonda una realtà strana che non riesco a capire e sembra che mi manchino le risorse per affrontarla. Mi affido nelle mani degli altri per farcela, come fanno loro. Questo avvicinamento, non alla pari perché io ho sempre la libertà di scegliere e posso in qualunque momento tornare alla mia zona di sicurezza, sono libero di scegliere il mio posto, mi aiuta a capire un po’ meglio la loro situazione. In un attimo capisci l’ingiustizia di questo mondo. In un secondo diventi più maturo. Nello stesso momento, a causa della tua libertà, la tua scelta di stare accanto a loro si riempie di significato.
Il dono più grande di CasaMondo sono le ore prima di dormire, quando prevale il silenzio che è appropriato per i racconti attorno al tavolo nella cucina con una tazza di tè caldo in mano, momenti pieni di umanità, non di sottovalutazione né ammirazione finta. Di tutte le attività che abbiamo realizzato con i residenti di questa casa, gite nella campagna, uscite per la città, partite di calcio e tante cose simili, l’esperienza più importante è stata la vita quotidiana. Lì capisci che davanti a te non ci sono poveretti e cacciati o eroi e viaggiatori, ci sono solo persone con una storia sulle spalle, come tutti, persone con un nome che ti salutano ogni mattina, che condividono il loro cibo con te e scherzano con te. Ci sono davanti a te persone che non vorresti mai vedere prendere un gommone per attraversare il mare o deportati al loro paese, ci sono amici tuoi.
Adesso mi rendo conto che è difficile parlare delle cose che ho fatto con i ragazzi, erano soprattutto cose semplici, niente di così importante, mi accorgo che la mia attività è stata principalmente mentale. È cambiato il modo in cui affronto le persone. Mi è stato insegnato il sorriso che addolcisce anche il ricordo più amaro. Mi ha conquistato la filosofia del cuore aperto, aperto alle persone, aperto alle esperienze. Io ho preso tanto. Spero solo che sia riuscito pure a dare qualcosa, a lasciare un pezzo di me con loro. Ero vicino a loro quando alcuni dei miei compagni hanno preso il permesso di soggiorno commossi. Gli ho offerto avidamente le mie orecchie perché si sentissero ascoltati. Abbiamo condiviso il ridere. Anche i conflitti abbiamo condiviso, non si può pensare che sia tutto ideale, ma pure questo ha il suo valore. Abbiamo lavorato insieme dipingendo la nostra casa e abbiamo passato il tempo giocando. Abbiamo condiviso il nostro tempo e ore sento che una parte di me vive con queste persone anche adesso che devo separarmi da loro; una parte di me rimane qui, in questo posto che abbraccia indiscriminatamente. Così io, come loro, che ad un certo punto devono partire, ho trovato una seconda casa che si trova in Italia, ma si trova anche dove noi scegliamo di portarla, visto che abbiamo imparato a costruirla attraverso la relazione umana. Se sono riuscito a contribuire in questo, sono contento.
Ritorno quindi in Grecia sei mesi dopo la mia partenza completando la mia esperienza nel modo più bello.