Oltre le paure e la stanchezza

servizio civile estero

Scritto da Giovanni Corti, volontario Casco Bianco in Servizio Civile a Bucarest nel progetto “Caschi Bianchi Corpo Civile di Pace 2020 – ROMANIA”

4 Marzo 2022 – Mi trovo a Bucarest come volontario in Servizio Civile Universale, tramite la Comunità Papa Giovanni XXIII. Mi trovo qui a partire dallo scorso 27 luglio e opero presso la ‘Capanna di Betlemme’, una struttura dell’ente che accoglie persone senza fissa dimora. Il progetto cui ho preso parte trova i suoi principali destinatari nelle persone senza fissa dimora della città, le quali vengono ospitate in struttura per periodi di durata variabile (dalla singola notte ai diversi mesi), oppure ricevono un pasto nei momenti in cui viene effettuata l’unità di strada, per tre sere alla settimana. Il progetto coinvolge anche altre due tipologie di destinatari: i bambini poveri del quartiere degradato di Ferentari ed i ragazzi con handicap del centro Don Luigi Orione, a Voluntari, fuori città.

Voglio prendermi questo momento di riflessione per fare un po’ il punto su quello che sto vivendo in questo anno di Servizio Civile Universale. È difficile capire da dove cominciare, cosa condividere e in che modo. Certamente non è una esperienza facile. Questo mio giudizio è dettato da una duplice motivazione: una motivazione ontologica, e quindi più oggettiva e legata al contesto in cui sto svolgendo il servizio e una motivazione più personale, soggettiva. Per forza di cose, le due motivazioni vengono a sovrapporsi nel momento in cui io agisco in questo contesto. Descriverò brevemente ambedue le cause della mia affermazione iniziale, per poi giungere a constatare la loro interdipendenza.

In primo luogo, il contesto in cui sto svolgendo il servizio non invita certo all’ottimismo, in tutte le principali attività in cui esso si articola. In particolare, la realtà delle persone senza fissa dimora di Bucarest è davvero complessa. Molte delle persone che incontriamo durante l’unità di strada o che ospitiamo nella struttura, hanno una storia, passata o presente, intrecciata con una o più dipendenze (droga, alcool, gioco, sesso), caratterizzata da abbandoni, abusi, sfruttamenti in ambito lavorativo e situazioni difficili a livello familiare. Parlando con il responsabile del progetto ho saputo che diverse decine – se non centinaia – di persone senza fissa dimora sono passate per periodi che vanno dalla singola notte ai diversi mesi, dalla struttura dell’associazione, ma nessuna di queste persone ha cambiato vita. Già questo rende l’idea di quanto sia precaria, di quanto sia al limite la vita di queste persone, e di quanto sia effimero l’aiuto che viene loro offerto. Ho ascoltato molte storie di queste persone, e spesso ho constatato che questa è l’unica cosa che posso fare concretamente per loro.

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