Il nostro servizio civile

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Scritto da Nicole Sbrocca, volontaria in Servizio Civile a Saludecio (RN) nel progetto “2020 Sulla via del perdono”

Il 25 maggio 2021 è iniziata la mia esperienza di servizio civile presso la Casa Madre della Riconciliazione a Saludecio. La mia scelta è, inizialmente, ricaduta sul Progetto CEC (Comunità Educante con i Carcerati) per motivi legati al desiderio di crescita e sperimentazione professionale. Io sono una criminologa e, già dai tempi dell’università, avevo sentito il forte richiamo del mondo della rieducazione: questa, si presentava a me, come un’ottima opportunità per misurarmi con le mie aspirazioni; 11 mesi dopo, posso dire che tutto questo ha decisamente superato le mie aspettative.

Incontri che ti cambiano la vita

Alle volte, si sa, la vita ci pone di fronte a delle coincidenze che sembrano tutt’altro che casuali. Il 25 maggio, infatti, non è iniziato solo il mio percorso in quella casa, ma anche il percorso di Fathi. Fathi è un ragazzo tunisino di 33 anni che, quando arriva in comunità, pare scontroso e molto chiuso. Il 7 giugno facciamo il primo colloquio: è diffidente e continua a ripetere che non ce la fa più. Da quel momento inizierà un percorso durato 6 mesi e, proprio a partire da un colloquio, la mia esperienza di servizio civile acquisirà un nuovo sapore. Un giorno, infatti, decide di leggermi alcuni dei resoconti della settimana passata e, tra le varie considerazioni, ricordo ancora le parole precise: “parlare con Nicole mi dà la forza per andare avanti”. Fathi prosegue, continua a leggere, ma la mia mente si ferma lì. So quali sono i suoi trascorsi, so che quelle parole hanno un certo peso. Sul momento non glielo dico, perché mi sento completamente frastornata. Nei giorni successivi, in realtà, gli parlerò di quanto quelle parole abbiano cambiato – irreversibilmente – la mia vita. Ai ragazzi lo dico sempre: ognuno di noi ha la propria storia, anche io ho la mia e se fosse stata semplice, probabilmente, non mi sarei ritrovata in una CEC. Perché poi è così: la nostra vita è composta da tanti piccoli attimi, persone, eventi, scelte che ci condizionano, inevitabilmente, e ci rendono le persone che siamo; solo che io non l’avevo effettivamente realizzato. Lo avevo studiato, figurarsi, la sociologia parla chiaro. Ma non lo avevo compreso fino in fondo. Con quella frase, Fathi aveva aperto in me una grande consapevolezza.

Nella mia vita ho passato dei momenti terribili che mi hanno messa alla prova, periodi ai quali non avevo nemmeno la certezza di poter sopravvivere. Ecco, anni dopo, ero lì, ancora viva, ancora in forze. Non solo; avevo anche capito che tutto quel dolore, una volta elaborato, si era rivelato utile per crescere e per rafforzarmi. Quello che, invece, ho compreso dalle parole di Fathi era che, non solo quel dolore mi aveva “aiutata”, ma ora poteva fare la differenza nella vita di qualcun altro diventando un veicolo di comunicazione.

Ecco, ogni giorno, ognuno di loro (ognuno dei “miei ragazzi”), attraverso la condivisione, rende la mia vita ricca e piena di sfumature e colori che nemmeno credevo esistessero; ho parlato di Fathi per parlare di tutti quanti: sono loro, siamo noi il mio servizio civile.