L’uomo non è il suo errore
servizio civile italiaScritto da Lorenzo Fracasso, volontario in Servizio Civile a Vasto (CH) nel progetto “2020 Sulla via del perdono”
Nella vita si tende a identificare le persone che hanno sbagliato come soggetti diversi, segnati dai loro sbagli, con la consapevolezza che non possano mai cambiare nel resto della loro vita, e la gente dunque cerca di porre una certa distanza da loro. In realtà, però, le persone che prendono strade negative sono esseri umani come tutti gli altri e quindi perché non perdonarli e dare loro una possibilità di riscatto con la vita e con la società che li circonda?
Mi chiamo Lorenzo e presto servizio civile nella CEC di Vasto in provincia di Chieti. La CEC (Comunità Educante con i Carcerati) è un progetto innovativo che si pone come obiettivo la rieducazione del carcerato. Sono qui per dare supporto alle persone che hanno sbagliato aiutando loro a riconoscere i loro sbagli e a rientrare in sintonia con la società. Di seguito un’intervista che ho fatto al referente della Comunità Educante con i Carcerati di Vasto dove ho passato questo anno di servizio civile, che per primo ha vissuto su di sé l’esperienza del carcere e della comunità rieducante.
– Pensi che il carcere sia uno strumento utile alla rieducazione di una persona?
Il carcere, per come è istituito ad oggi, non ha gli strumenti per poter intervenire sul pensiero e il comportamento di una persona, quindi non è adatto ad una rieducazione, ma l’arresto e la detenzione servono come stop, come fermo immagine, per impedire ad una persona di continuare a commettere azioni criminali. Quindi penso che il carcere possa essere un punto di partenza.
– Come ti senti dopo aver fatto il percorso in Comunità? È cambiato il tuo modo di pensare, il tuo modo di vedere le cose, i rapporti con le persone?
Questo è un percorso di vita, quindi non sento di aver terminato qualcosa, sto proseguendo il mio percorso. Come mi sento? Sereno e felice. Il mio modo di affrontare la vita dopo il percorso con la Comunità Educante con i Carcerati della Comunità Papa Giovanni XXIII è cambiato, secondo me, in maniera positiva. Le relazioni sono cambiate in meglio. Ho i miei momenti difficili, ho commesso errori e continuo a sbagliare ogni tanto, perché sono un essere umano ed un essere umano resto, ma in questo momento, dopo tutta questa evoluzione e soprattutto dopo aver toccato la miseria del mio cuore, sento di non avere giudizi verso gli altri, e questo mi mette in condizioni di stringere relazioni più profonde.
– Come è cambiata la tua vita? Cosa è cambiato/sta cambiando in te?
La mia vita è cambiata dopo la prima parte del percorso comunitario, che era quella dell’acquisizione di consapevolezza di ciò che ero stato e del male che avevo fatto. È cambiata perché ho avuto la possibilità di trasformare il negativo della mia vita in uno strumento positivo. Spero che questo duri sempre, anche come strumento nell’accompagnamento agli altri. Questo cambiamento mi ha permesso anche di recuperare rapporti e relazioni, in questo momento ottimali, con i miei figli e con il resto della mia famiglia. Questa vita in condivisione mi da la possibilità di rimanere sempre aperto e mi da la possibilità di stare sempre in ascolto, e quindi di non sentirmi arrivato. Quello che è cambiato e che sta cambiando in me lo posso dire dai rimandi degli altri: secondo qualcuno sto diventando sempre più riflessivo, paziente e tranquillo, anche nell’affrontare le cose. Ho smesso di fare forzature, prendo la vita così come viene. Credo che in tutto ci sia un disegno, lo credo fortemente, e quindi se mi alzo la mattina con un progetto e questo non va in porto, sono pronto a modificare quello che avevo in mente senza problemi.
Sta cambiando anche la lettura, onestamente, di quello che è stato il mio trascorso, delle motivazioni che mi ero dato anni fa in risposta a certi miei comportamenti, mi rendo conto che oggi quelle motivazioni sono cadute, e ne sono venute altre più profonde, più serie, più intense. L’evoluzione è continua, e io sento che questo percorso ancora è lungo e c’è tanto da fare.
– C’è qualcosa che vorresti cambiare di te?
Nell’accettazione di quello che sono cerco di migliorare in questo percorso di vita. Mi piacerebbe essere molto più calmo, tranquillo e riflessivo, mi piacerebbe diventare una persona mite e saggia. Mi piacerebbe cambiare la mia esuberanza, la mia istintività ed anche la mia durezza. Tante cose le ho cambiate, su tante ci sto ancora lavorando. Ho acquisito la consapevolezza che ho tanto da dover cambiare. Vorrei amare di più, vorrei fare di più, ci sono momenti in cui arriva la fatica che fa da freno, quindi a volte mi fermo e poi devo ripartire. Vorrei abbandonarmi molto di più anche a nostro Signore, che in qualche modo mi ha indirizzato la vita, quando l’ho ascoltato. Sono tantissime le cose che vorrei cambiare, ma mi sento comunque in cammino e questo è l’importante.
– Cosa ti aspetti nel futuro? Amicizie, famiglia, relazioni con gli altri, lavoro?
Mi aspetto serenità e tranquillità. Le amicizie che ho, le sto mantenendo e sono disponibile a costruirne di nuove, quindi quello che arriva, quello che il Signore manda, mi sento pronto ad accoglierlo ed a stringere nuove relazioni. Per quanto riguarda la famiglia ho recuperato la relazione con i miei figli, mia sorella, mio cognato, i nipoti, e questa nuova famiglia che sto costruendo di cui a breve ci sarà il mio Matrimonio, quindi sarà un’altra tappa di questa crescita.
A volte non mi piace quello che vedo di me, però poi diventa ossigeno in qualche modo, diventa aria che respiro, perché mi permette poi di lavorare sui cambiamenti.
Per quanto riguarda il lavoro ho questo sogno, questa speranza: abbiamo aperto una Cooperativa con la Comunità Papa Giovanni XXIII qui a Vasto, e spero di poter contribuire per renderla un posto che possa stimolare una svolta positiva con i ragazzi in percorso, con quelle persone che non hanno niente e nessuno, e che via via potranno lavorare e potranno avere una speranza futura, potranno costruire qualcosa che serve a loro.