Scritto da Laura Busi, Corpo Civile di Pace a Valdivia nel progetto “CORPI CIVILI DI PACE 2022 – LA PROTEZIONE DEI CIVILI NEI CONFLITTI”
La lotta dei Mapuche per la terra e l’autodeterminazione ha radici profonde. Nel corso della storia, il loro territorio ancestrale è stato progressivamente usurpato per far spazio all’espansione agricola e industriale. Oggi, molte delle terre che un tempo appartenevano a loro sono nelle mani di grandi aziende forestali e di energia, che spesso operano senza riguardo per i diritti delle comunità indigene.
Le violazioni dei diritti umani contro i Mapuche non sono solo violazioni di legge internazionale, ma rappresentano anche un affronto alla dignità e alla storia di un popolo che ha dato un contributo significativo alla cultura cilena. Molti affrontano discriminazione e persecuzione da parte delle autorità. La repressione politica è stata una costante nella storia recente del Cile, e i Mapuche spesso si trovano nel mirino del governo a causa della loro resistenza e delle richieste di autonomia e giustizia sociale, molti attivisti Mapuche sono stati incarcerati ingiustamente. Dentro le carceri una tattica di protesta estrema utilizzata dai prigionieri Mapuche sono gli scioperi della fame, atti per far attirare l’attenzione sulle loro condizioni di detenzione e sulle ingiustizie che subiscono. Questi scioperi non sono solo un atto di disobbedienza civile, ma anche un grido di disperazione di fronte a un sistema che sembra ignorare le loro richieste di giustizia e rispetto. Molti di loro sono detenuti senza un giusto processo, basato su prove inconsistenti o inesistenti, mentre altri sono stati condannati per reati che sembrano più motivati politicamente che legalmente. Inoltre, le autorità carcerarie spesso ignorano le richieste di assistenza medica e il rispetto dei diritti fondamentali dei prigionieri, alimentando ulteriormente la loro disperazione e rabbia. Gli scioperi della fame sono un segno di protesta che non può essere ignorato. Le richieste sono chiare e legittime: chiedono il rispetto dei loro diritti umani, un trattamento dignitoso all’interno delle carceri e la revisione equa dei loro casi giudiziari. Richieste che meritano un’attenzione urgente.
Nel mio ruolo di osservatrice dei diritti umani, mi sento di testimoniare da vicino una realtà che ha messo in luce le profonde ferite della discriminazione. È successo il 17 gennaio 2024, durante una visita al penitenziario di Concepción per valutare la situazione di alcuni prigionieri politici in sciopero della fame da 64 giorni. Appena sono entrata nell’area, mi sono trovata di fronte a un evento sconvolgente, che ha messo in luce quanto fosse radicata la discriminazione in questo contesto. Mentre attraversavamo i controlli di sicurezza e ci dirigevamo verso la fila per il ritiro dei documenti e successivamente per i controlli fisici, suddivisi per genere come pratica comune in molte strutture carcerarie, una donna si è unita alla fila. Pochi istanti dopo, le lacrime hanno cominciato a scorrere sul suo viso. Avvicinandomi con preoccupazione, le ho chiesto se stesse bene. Il suo dolore era evidente nei suoi occhi gonfi di lacrime. Dopo un momento di esitazione, ha trovato la forza di raccontarmi cosa fosse successo, con parole tremolanti.
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