Impressioni dalla Georgia
volontariato europeoScritto da Denis Poli, volontario SVE nel progetto “Beyond the sea” a Batumi (Georgia)
Ora, da casa, dal contesto di appartenenza, ci si rende conto di ciò che si é diventati. O meglio, di cosa ci sia rimasto. Di come ci siamo fatti cambiare da una scelta, da un’esperienza importante. Un’esperienza di vita di sei mesi.
Sei mesi di Servizio Volontario Europeo in Georgia, a Batumi, nelle Case Famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII. Nelle Case di Ale e Ino e di Laura. Sei mesi di vita familiare con bambini e persone meno fortunate, accompagnata dall’insegnamento di inglese e dall’animazione settimanale nella baraccopoli di Batumi.
Sei mesi di condivisione, di condivisione di se stessi e di convivenza.
In un contesto culturalmente diverso, e a fianco di chi è meno fortunato di noi si imparano, si praticano e si sperimentano molte cose.
A partire dal dover confrontarsi con una diversa percezione del tempo, e quindi una diversa gestione di esso. Si sperimenta così, grazie anche ai pochi privilegi che si hanno rispetto al contesto di provenienza, come nella vita le vere priorità, le vere urgenze e gli impegni improrogabili siano pochi. E non come pensiamo nella stressata società occidentale. Le priorità e i bisogni prioritari si riducono: salute, coltivare le relazioni positive, l’ospitalità e l’attenzione verso il prossimo, che è una risorsa, fare ciò che ci porta alla serenità, e quindi anche alla felicità. Agire, vivere, senza troppe riflessioni e incertezze, perché il tempo è prezioso e non ritorna indietro.
Si impara così che i soldi e i beni materiali, seppur importanti, non sono tutto. E si impara che molti problemi che ci facciamo noi, sono in realtà paranoie, preoccupazioni che molti non hanno nemmeno il lusso di permettersi. Si impara quindi a vivere più alla leggera e a non prendersela troppo, a farsi scivolare addosso le cose. Ad accettare sè e gli altri per quello che si è, ad accettare e a ridere degli sbagli.
Ci si sente se stessi, “le senti le vene piene di ciò che sei, e ti attacchi alla vita che hai”. Riscopri parte di te stesso, dei tuoi pregi, dei tuoi limiti, passioni e interessi.
E ti accorgi, grazie anche al network che si crea con gli altri volontari SVE, che noi umani possiamo appartenere a culture diverse, a religioni diverse, a classi sociali diverse, a ideologie diverse. Che possiamo anche non condividere perché siamo allo stesso tempo unici, ciascuno con i propri talenti, ciascuno con i propri limiti. Con le proprie idee, valori, principi, la propria morale e il proprio sistema di referenze.
Però quell’unicità ci accomuna. Spesso ci giudichiamo a vicenda, senza renderci conto di come in realtà abbiamo comportamenti, paure, problematiche, limiti, pregi, modi di affrontare la vita che si assomigliano.
In sintesi, stare con i meno fortunati in quelle che Papa Francesco chiama “periferie esistenziali”, ti fa capire il valore di ogni persona. Che non siamo i nostri errori, i beni materiali che possediamo.
Ti fa capire che non siamo uguali, ma neanche diversi. Siamo simili. Che, in potenza, siamo tutti fiori di loto. Fiori bellissimi ma ognuno con la propria storia, le proprie insidie e le proprie esperienze positive o negative che siano, ma pronti a risplendere grazie all’amore di chi ci sta intorno. D’altronde dimentichiamo spesso che non si può essere perfetti, come delle macchine, ma si può essere semplicemente se stessi, ognuno con un valore unico.
Vivere in casa famiglia, in una cultura e in una società diverse e a fianco di chi come Laura, Ino e Alessandra hanno fatto una scelta di amore verso il prossimo, ti porta a capire l’importanza di cose anche piccole, che la nostra società occidentale spesso si dimentica: il tempo, le relazioni umane, il dialogo, la famiglia, l’amorevolezza, la semplicità, l’ironia, il sorriso.
Della Georgia, di Batumi, della vita in casa famiglia con Alessandra, Laura e Ino mi porto a casa questo, e mi porto nel cuore il sorriso degli accolti e dei bambini del campo. La loro spensieratezza nonostante i loro problemi più seri e più grandi dei miei.
Perché quei sorrisi, quella spensieratezza materializzata nel correre dietro a una macchinina o a una palla, dietro allo stupore davanti a cose che a noi sembrano banali, mi hanno ricordato l’importanza di un piccolo gesto o di parole semplici come “grazie, scusa e permesso”, l’importanza di saper sorridere, di lasciarci sorprendere, di non dare nulla di scontato. L’importanza di rimanere giovani, e bambini nello spirito.
Da quelle persone considerate “meno fortunate”, impari, anzi ti ricordi, che “siamo fatti per vivere, e non per prepararci a vivere”.