Il primo mese è passato, ci penso mentre sono sull’autobus e una signora anziana nel sedile davanti ad ogni chiesa o altare si fa il segno della croce, nella maniera ortodossa, da destra a sinistra. Nel riflesso del vetro sotto la luce dei lampioni accanto alla pensilina i ragazzi hanno in mano il bicchiere di frappè pret-a-porter, un must intergenerazionale nelle strade di Salonicco.
Sono piccoli segni di una città che sto lentamente scoprendo e che i primi giorni guardavo con gli occhi spalancati, come un neonato che apre per la prima volta gli occhi sul mondo.
Prima di partire avevo controllato tutto: numeri di telefono, indirizzi, una frase tradotta con google translate, nel caso avessi dovuto prendere un taxi dall’aeroporto o mi fossi persa. Invece mi sono venuti a prendere, i primi membri della mia nuova famiglia avevano su un foglio di carta A4 con la scritta “Welcome Malaka” e sotto il mio nome. Già perché a vivere in 6 in una casa è un po’ come stare in famiglia, devi capire i ruoli e determinare gli equilibri. Quando sono arrivata il gruppo aveva già due settimane di convivenza ed era già molto coeso, avevo timore di non riuscire ad integrarmi ma poi è andato tutto bene, l’atmosfera dello SVE crea subito una naturale curiosità su chi sei, da dove vieni e quale è stato il motivo che ti ha spinto in questa casa situata sulla cima di una collina, faticosa da raggiungere ma con una vista mozzafiato.
Poi arrivano le prime riunioni di team dove cerco di capire come funziona l’associazione: quale sarà il mio ruolo, cosa devo fare. In realtà capisco che devo “solo” essere me stessa e cercare di essere propositiva nelle cose che più mi piacciono come scrivere articoli o fare foto, o entrambi. Così inizio a vagare per la città, un po’ per iniziare ad orientarmi e un po’ per conoscerla. Mi fa uno strano effetto camminare tra le vie intitolate a grandi personaggi della storia greca antica, che avevo studiato alle superiori, mi fa sentire un po’ importante: via Socrate, piazza Aristotele. Ogni tanto mi perdo e avendo un minimo vocabolario di base, ereditato dallo studio del greco antico, le persone capiscono che non sono un’autoctona e, in inglese, mi chiedono da dove vengo, incuriositi.
I greci sono persone molto gentili e disponibili quando vedono che sei in difficoltà o quando vogliono coinvolgerti nella vita della loro città. Voglio cercare di integrarmi e, oltre alle lezioni di greco comprese all’interno dello scambio del progetto, inizio a frequentare un gruppo di teatro in un centro
sociale. E’ un gruppo un po’ speciale perché è un gruppo formato da greci e da “migranti”, persone che vengono dal Burkina Faso, dall’Albania, dalla Russia, dall’Italia. In fondo anche io mi sento un po’ migrante quando, parlando, non riesco a comunicare come vorrei e non riesco a farmi capire, o quando giri per le vie della città con due grandi buste della spesa piene cercando la pensilina dell’autobus che ti porti a casa. O forse perché a volte ti senti un po’ sola, e vorresti condividere certi momenti e certi tramonti con gli
amici di sempre e con la tua famiglia.
Però ci sono troppe cose da fare, tra nuove persone incontrate, eventi, articoli da scrivere e video da girare. Sì, vorrei imparare a fare i video e dopo due settimane dal mio arrivo ho avuto anche l’occasione di apprendere i primi rudimenti del video editing con risultati abbastanza soddisfacenti, grazie al lavoro di team con gli altri volontari più esperti.
Un primo mese intenso, con molti alti e qualche basso, perché non si può essere sempre carichi e su di giri e, a volte, capitano anche le lune storte, le mattine che ti alzi con il piede sinistro e le incomprensioni. Ci sta, fa parte del gioco e , soprattutto, anche questo contribuisce alla tua formazione. Adesso devo andare, ho un articolo da scrivere e devo buttare giù le domande per una piccola “inchiesta” che voglio fare la prossima settimana.