Scritto da Maria Gaia Piccioni, volontaria nel progetto di Servizio Civile “2019 Un anno da sballo” presso la comunità terapeutica di Trarivi, struttura che ospita giovani e adulti inseriti in un percorso terapeutico di fuoriuscita dalla dipendenza

Mi chiamo Gaia, ho 25 anni e vivo a Pesaro. Al termine del percorso universitario ho deciso di dedicare un anno della mia vita al servizio civile, cercando una realtà che mi formasse sia come persona che come professionista – ho infatti studiato servizio sociale con l’obbiettivo di diventare assistente sociale.

Ho scelto di “sfruttare” questo tempo di passaggio, tra la conclusione dell’università, esame di stato, iscrizione all’albo professionale e mondo del lavoro, per vedere da vicino la realtà delle tossicodipendenze che già avevo conosciuto durante un tirocinio accademico e che tanto mi aveva incuriosito. Il progetto che sto svolgendo si chiama “2019 Un anno da sballo” e mi vede presente nella comunità terapeutica di Trarivi dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Stare quotidianamente a contatto con i ragazzi ti permette di conoscerli, di gioire con loro per i traguardi raggiunti, di vedere le loro difficoltà ed essere presente per aiutarli nel risolverle. Il lavoro in comunità è proprio quello di accompagnarli nella giornata, aspetto completamente differente dal lavoro per il quale ho studiato, caratterizzato invece da tanta burocrazia e scarso contatto come le persone. Ho voluto puntare sulla relazione per farne bagaglio ed esperienza per il futuro professionale. Ho voluto puntare sull’ascolto della mia persona e delle persone che mi circondano.

In comunità non puoi avere maschere, non puoi dire mezze verità: sei “costretto” a guardare in faccia la realtà e dare un nome alle difficoltà. Questo è quello in cui accompagniamo i ragazzi ma non riguarda solo loro. Fare verità è qualcosa che dobbiamo fare concretamente nella nostra vita, operatori o ragazzi in servizio civile, per poi essere credibili nella quotidianità con le persone accolte in struttura. La comunità ci permette di guardare nella parte più profonda del nostro cuore, di ristabilire le nostre priorità e ci insegna a lasciare il superfluo: in poche parole aiuta ad essere veri, ad essere noi stessi senza compromessi.

Questa è stata per me l’esperienza di servizio civile: un insieme di emozioni, incontri, riflessioni, persone che mi hanno aiutato a correggere la strada, le modalità, gli atteggiamenti, i comportamenti che vedevo essere parte della mia persona. Immergendomi totalmente in una nuova realtà, ho potuto conoscere meglio me stessa. Credo che ci sia stato uno scambio reciproco molto vero e profondo con educatori e ragazzi che conserverò per molto tempo.

La mia presenza in casa non è nulla di particolare se non essere un’amica e un contatto con l’esterno che possa rimandare loro una fetta di vita normale al di fuori delle mura della struttura. Non è sempre facile, in alcuni periodi la fatica si coglie in piccoli sguardi e parole che rimangono tra i denti ma, nella maggior parte delle volte, quando torno a casa sto bene, sono soddisfatta e mi sento grata di poter condividere con loro questo pezzo del mio cammino.

Consiglio di cuore a chiunque si trovi in un momento apparentemente di stallo – senza motivazioni, senza obbiettivi, senza energie – di dedicarsi agli altri e non di ripiegarsi su se stessi. Prendendosi cura di altre persone, credetemi che riuscirete ad ascoltarvi e a conoscervi più nel profondo. A me, per lo meno, è successo così!