Scritto da Mara Degani, Casco Bianco in Servizio Civile a Tirana

Ciao S.

Bizzarro vecchietto che si è preso il mio cuore fin da subito.

Ricordo i miei primi giorni qui, in Albania, i primi momenti di paura, ti sentivo urlare ma non ti vedevo, ti sentivo urlare ma non capivo. Voci che si accavallavano, urla che facevano a gara a chi si faceva sentire più forte e poi, sollievo nel silenzio. Quel silenzio che era diventato per me quasi assordante nei giorni di quarantena al mio arrivo, e che tu con la tua irruenza rompesti. Mi fu spiegato poi che eri un personaggio difficile, che ne combinava di tutti i colori e che non faceva stare in pace nemmeno i sassi, e io, chissà perché, non vedevo l’ora di conoscerti.

Qualche giorno dopo, la nostra presentazione; mi guardavi con aria sospetta, ma avevo capito che eri un gran chiacchierone e che, come si dice dalle mie parti “ce vo’ nu paccher p te fa’ parla’ e due p te fa’ sta’ zitt’” (ci vuole uno schiaffo per farti parlare e due per zittirti). Pensavo di essermi meritata tutto il tuo odio quando alla nostra prima gita al mare ti chiusi il dito medio (simpatiche coincidenze) nella portiera del furgone, ne porti ancora i segni, e ricordo bene come, dopo tutte le tue urla (per fortuna in albanese), ti lasciasti prendere la mano per farti spalmare della pomata. In quei giorni non stavi bene, chissà con quali demoni e spettri della tua vita stavi combattendo, non era facile starti vicino, ma ci provai comunque, perché sentivo che dentro te, dietro quella corazza da burbero vecchietto si celava un’anima piena di affetto e di ironia. E così piano piano, io ho conquistato te, standoti accanto e guardandoti dritto negli occhi per comprendere ciò che dalle parole risultava incomprensibile, e tu, hai conquistato me, con le tue infinite chiacchiere, i tuoi occhioni azzurro cielo, e distese di gengive tra le labbra.

Risulta ancora difficile capirci S. e non so come, io e te in qualche modo ci riusciamo, oltre il limite della lingua.

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