Albania: le catene dei ruoli di genere e i germogli di una nuova libertà

servizio civile estero

Scritto da Valentina Federico, Casco Bianco in servizio civile in Albania, a Scutari

Abbiamo messo piede in Albania per la prima volta a metà luglio, nei giorni più caldi dell’anno. Frastornate dopo parecchi giorni di quarantena, siamo uscite in strada e ci siamo ritrovate inondate dalla luce a percorrere un viale assolato, in direzione del centro.  È uno di quei giorni delle estati albanesi in cui, come racconta Ornela Vorpsi, l’afa è tale che anche la ragione inizia a liquefarsi. Il caldo ci offusca la vista e rende il respiro affannato. Passiamo di fronte alla farmacia, il cartello elettronico segna 42 gradi. Camminiamo lentamente, immerse nel silenzio, ma non nella solitudine: incrociamo numerosi cani randagi, che languono sdraiati nelle aiuole o sul cemento: probabilmente sono stati loro a sgranocchiare quel frammento di costato animale, ora al centro del marciapiede. Al nostro passaggio, alcuni di loro si voltano pigramente, altri non ci degnano di alcuna attenzione,  quindi perché  ci sentiamo così osservate?

Volgiamo lo sguardo ai bar ai lati della strada e ci accorgiamo che sono gremiti di uomini: siedono ai tavolini in piccoli gruppi, davanti a loro un bicchiere di raki, una birra o una tazzina di caffè. Ci fissano nel silenzio ovattato, l’ espressione sui loro volti è seria e intensa, mentre ci allontaniamo si voltano e seguono le nostre figure con lo sguardo. Per loro la vita non è semplice: nel nord dell’Albania l’economia si muove a rilento e le norme che definiscono i ruoli di genere sono ancora vive e sentite. Questo perché città come Scutari hanno accolto e continuano ad accogliere l’emigrazione delle genti dalle montagne, in fuga dalla miseria, che portano con sé la cultura profonda e atavica del paese; è inevitabile che le consuetudini dei villaggi vadano a scontrarsi con la mentalità cittadina, più liberale e centrata sull’individuo.

Secondo il pensiero della tradizione, l’uomo deve saper controllare i propri sentimenti, mostrarsi sempre forte e all’altezza delle sfide. Non gli è consentito mostrarsi vulnerabile, chiedere aiuto. È lui che deve  portare il denaro a casa. È lui che deve difendere l’onore della famiglia e proteggere le “proprie” donne, a costo della vita. Aspettative molto alte da riversare in un semplice essere umano, tanto più se si considera il difficile contesto economico della regione: a Scutari la disoccupazione è alta, il lavoro è scarso e mal retribuito e spesso  manca delle tutele essenziali. I capifamiglia delle zone più povere si affannano per trovare impieghi a cottimo, ad esempio come manovali: si recano ogni mattina in piazza sperando di venire assoldati per qualche lavoro, spesso invano. Alcuni di loro sopravvivono con la pensione di invalidità, altri ancora arrancano nella disoccupazione e nell’indigenza. Ecco perché tanti bar sono pieni di malinconici spettatori dello scorrere della vita altrui, in particolare di quella delle belle ragazze. Vige una legge non scritta, che vuole alcuni locali riservati solo agli uomini. La clientela femminile viene tenuta lontano attraverso gli sguardi ambigui e la forza del numero degli avventori. In generale, solo i locali del centro pedonale, frequentati dai più giovani, vantano una costante presenza di donne.

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