Cambio di valigia

servizio civile estero

Scritto da Paolo Molteni, Casco Bianco in servizio civile in Sri Lanka, a Ratnapura.

Eccoci qui, ormai ci siamo. Tra poche ore l’aereo che partirà per lo Sri Lanka mi porterà a iniziare questa esperienza di servizio civile come casco bianco, che serba già alla partenza così tante sorprese. Ma è giusto dire che la partenza inizi da qui? Più ci penso, meno ne sono convinto.

Da sempre pensata come momento fondamentale, come rito di passaggio in cui bisogna lasciarsi alle spalle qualcosa per poter affrontare il nuovo – che sia un’avventura, un lavoro da un’altra parte del mondo, un momento di relax o uno svago. Ma se si concepisce in questo modo, la partenza è già, probabilmente, all’inizio della formazione.

Esatto, la formazione. Un’esperienza incredibile. Durante questo mese ho incrociato così tante traiettorie di vita, ho visto così tante persone della mia età che per i più disparati motivi hanno deciso di mettersi in gioco. Un mosaico di storie, tutte interessanti, tutte valevoli di essere ascoltate. Si è formata una bella atmosfera all’interno di questo gruppo, nonostante la distanza imposta da questa pandemia – o forse potrei dire anche grazie ad essa. Una vera lotta, sin dal principio, sin dalle basi. Doversi trovare tutti i giorni senza mai vedersi veramente, essere in contatto a distanza, costruire legami fatti di microfoni che non vanno, connessioni che saltano, volti in webcam che spariscono. Eppure quando poi ci si è trovati, quella settimana a San Marino, sembrava di essere un gruppo di amici che si conosce da anni. Ognuno partito con una propria motivazione, tutti mossi da uno stesso obiettivo. Ecco, se mi dovessero chiedere cosa mi porto dietro per questo viaggio, la prima cosa che senza dubbio direi di aver messo in valigia sono loro, una manica di ragazzi che, per citare De André e la sua Smisurata Preghiera, hanno deciso di viaggiare “in direzione ostinata e contraria”. Già, perché in un mondo come il nostro, atti di gentilezza gratuiti sono visti sempre più come sovversivi, e allora non posso pensare a loro senza che la mia mente richiami la “preghiera” che De André dedicava a questi viaggiatori:

Ricorda Signore questi servi disobbedienti
Alle leggi del branco
Non dimenticare il loro volto
Che dopo tanto sbandare
È appena giusto che la fortuna li aiuti
Come una svista
Come un’anomalia
Come una distrazione
Come un dovere.

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