Incontri che danno sapore

servizio civile italia

Scritto da Andrea Petruzzi, volontario in Servizio Civile a Camaiore (LU) nel progetto “2020 Se mi dai la mano cresco”

Certi incontri cambiano il nostro atteggiamento verso la nostra vita e con esso il nostro sguardo su ciò che anche prima facevamo, senza necessariamente cambiare il modo in cui lo facciamo. Questo è un insegnamento che ho imparato – ma molto più dovrei dire l’esperienza che ho vissuto – nei tre giorni di “formazione generale” per il servizio civile a cui ho partecipato, dal 7 al 9 settembre, insieme ad altri dodici volontari in servizio con la Comunità Papa Giovanni XXIII.

Io sono un tipo abbastanza aperto ad accogliere nuove esperienze senza troppo giudicarle prima, ma una cosa era certa: non avevo aspettative altissime per questi tre giorni. Mi entusiasmava l’idea di stare per qualche giorno lontano dalle occupazioni di tutti i giorni, mi preoccupava un po’ la lunghezza del viaggio da Pisa a Mercatino Conca e il numero di cambi da fare (preoccupazione fondata, visto che per dei ritardi con il treno abbiamo perso le coincidenze e siamo arrivati tre ore più tardi del previsto!); ero certo curioso per le persone che avrei incontrato e contento di passare un po’ di tempo con gli altri compagni di progetto, con cui non ho a che fare tutti i giorni, ma temevo anche lunghe ore di chiacchiere sul “ruolo del volontario nel servizio civile” o sulla “difesa della patria” (cosa ci sarà mai da dire in tre giorni? E che c’entra la difesa della patria con i bimbi che incontro nella mia casa famiglia?).

Insomma non mi aspettavo di imparare realmente qualcosa, certo non più di quello che ho imparato nei primi mesi di servizio, con i ragazzi della casa famiglia, dove c’è da sporcarsi le mani e da fare i conti con la vita vera.

Tornando a casa dopo questi tre giorni, però, ho capito quanto faccia bene, di tanto in tanto, fermarsi a riflettere su ciò che facciamo, e soprattutto che ha senso riflettere su un’esperienza già avviata.

Personalmente – e, come me, gli altri volontari che ho incontrato – non avevo dato alcuna importanza al valore civico del servizio che avrei svolto quando ho presentato la mia candidatura; avevo il desiderio di fare un’esperienza diversa da ciò di cui mi occupo tutti i giorni (studio Lettere antiche), l’esigenza di mettermi un po’ in gioco al termine degli studi universitari; la più alta delle mie aspirazioni era fare del bene aiutando chi ne aveva bisogno e incontrare da vicino situazioni di disabilità. Non credevo certo di fare un servizio alla patria (anche se da qualche parte dovevo averlo letto).

La parola “patria” non corrispondeva nella mia testa ad un’immagine nitida; è una parola che istintivamente avrei associato alla nostalgia di un poeta in esilio o a qualche eroe del Risorgimento, ma non ci trovavo alcun nesso con la mia quotidianità.

Eppure, quando ci è stato chiesto cosa fosse per noi “patria”, il brainstorming ha tirato fuori tantissime cose, prima più astratte e fumose, poi sempre più concrete, piccole, tascabili; non solo patria come nazione o confini, ma anche cultura, scuola, arte, famiglia, fede, casa, appartenenza, identità…

E a seconda dei colori con cui scegliamo di dipingere la patria, cambiano le sfumature con cui intendiamo la sua difesa, e scopriamo come c’è più di un modo per “difendere la patria”. Pian piano ci siamo ritrovati a porci le stesse domande che si sono posti i nostri predecessori nella storia del servizio civile, le stesse domande che spinsero alcuni patrioti italiani a far valere il proprio diritto-dovere costituzionale di difendere la patria con i propri mezzi, senza l’utilizzo della guerra.

Noi, un gruppetto di tredici ragazzi provenienti da varie regioni, con le storie più diverse alle spalle, con le nostre ingenuità da ragazzi e le nostre convinzioni da adulti, ci siamo scoperti l’ultimo anello (ultimo solo fino al prossimo anno!) di una storia più grande di noi.

Personalmente tutto questo ha avuto una grande impressione su di me; ho sempre avuto la convinzione che l’unico modo per migliorare la società in cui vivo sia abitare a pieno la mia quotidianità, impegnarmi nello studio o nel lavoro, curare ciascuna delle relazioni che ho il dono di intessere, tener pulita la casa per il bene dei miei coinquilini, magari dedicare anche del tempo al volontariato e – perché no? – fare la raccolta differenziata.

Ma scoprire che la mia costituzione e le mie leggi – ahimè troppo ignorate – riconoscono il valore dell’impegno di ciascuno, del servizio ai più fragili come un bene per la collettività e anzi come un reale impegno a difesa della patria, tutto questo ha risvegliato in me il desiderio di essere un cittadino più sveglio e di riconoscermi come parte – minima ma pur sempre utile – di una realtà più grande, a cui dare il nome di patria. Una patria che non ha bisogno di essere difesa da qualcuno o qualcosa, ma da difendere nella sua essenza che è sempre l’umanità.

L’ultimo giorno della formazione ci ha visti alle prese col tema della Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta: un’altra di quelle cose che siamo abituati a collocare fra le pagine di qualche libro di storia, fra il Mahatma Gandhi e Martin Luter King, e a guardare forse con un po’ di scetticismo, perché in fondo loro erano loro, ma nella realtà devi prenderti ciò che ti spetta, anche con la forza se serve, perché rientra nei tuoi diritti. Le dinamiche che abbiamo vissuto nel gruppo, attraverso il gioco e alcune dinamiche teatrali di immedesimazione, hanno messo in luce quanto spesso preferiamo vivere sacrificati pur di stare meglio degli altri, piuttosto che trovare lo spazio per tutti ad avere a sufficienza (ma tanto quanto gli altri).

La perla più preziosa di questi tre giorni, per molti aspetti faticosi, è stato l’incontro con altri giovani volontari: tredici storie, tredici modi di affrontare un problema, tredici modi di voler passare la serata o di fare colazione. Condividere lo spazio con così tante persone diverse può essere estremamente difficile, ma la sera in cui ho deciso di rinunciare alla mia comodità (fare la doccia mentre gli altri erano impegnati) e di sedermi a giocare a carte mentre ciascuno spontaneamente tirava fuori pezzi della sua esperienza, ho guadagnato una grande ricchezza. E anch’io sento di aver dato il mio contributo – con la mia storia, con i miei difetti, con le mie carte – alla cassa comune.

Certi incontri cambiano il sapore della nostra vita.