Un anno di servizio o un anno di vita?

servizio civile italia

Scritto da Sara Robustini, volontaria in Servizio Civile a Mulazzo (MS) nel progetto “2020 Sulla via del perdono”

Se dovessi racchiudere cosa ha rappresentato per me il servizio civile fino ad oggi in una sola parola userei il termine “scoperta”. Quando mi iscrissi al bando lo feci per provare una nuova esperienza lavorativa che “facesse curriculum”, non pensando all’aspetto umano ed esperienziale che si sono rivelati totalizzanti. Utilizzo un termine così forte, e per alcuni magari esagerato, perché il mio servizio civile è diverso dagli altri: siccome la sede in cui svolgo il servizio è lontana da casa mia, la Comunità Papa Giovanni XXIII mi ha accolta in Casa Bakhita, una delle case famiglia. Non nego di essere rimasta sorpresa e preoccupata da ciò all’inizio per diversi motivi, principalmente perché fino ad una settimana prima dell’inizio del servizio non sapevo esattamente dove avrei alloggiato, quindi ho avuto poco tempo per concretizzare il tutto e, inoltre, non sapevo esattamente cosa fosse una casa famiglia.

Ad oggi, dopo quattro mesi circa, posso dire di sentirmi integrata e parte di questa famiglia, ho trovato i miei spazi e costruito belle relazioni con tutti, tanto che spesso quando finisco le mie ore di servizio dico a mia mamma che “sto tornando a casa”, ma non intendendo quella in cui ho la residenza. In questa casa sto imparando cosa significa vivere in una famiglia allargata (un aspetto totalmente nuovo per me che sono figlia unica), ma non solo, sto imparando anche cosa significa gestire con armonia un gruppo di persone con limiti, problemi, culture, abitudini e lingue diverse. Ognuno, con le proprie particolarità, apporta qualcosa di nuovo mettendo alla prova tutto il gruppo.

Se poco o nulla sapevo del posto in cui sarei rimasta per un anno, ancora meno sapevo cosa aspettarmi da ciò che sarei andata a fare durante le mie ore di servizio civile nel progetto 2020 Sulla via del perdono. Ovviamente avevo letto il progetto sul bando e mi aveva entusiasmata molto, ma si sa che la teoria è sempre molto diversa dalla pratica. Arrivai qua alla cooperativa Il Pungiglione di Mulazzo con molti progetti e, allo stesso tempo, con tanti punti di domanda e insicurezze per l’ambiente di lavoro. Il mio OLP mi consigliò fin da subito di proteggermi, perché si tratta di un ambiente in cui si costruiscono relazioni diverse da quelle a cui siamo abituati e perché è necessario restare sempre un passo più avanti rispetto a loro per valutare meglio le richieste e i comportamenti.

Inizialmente fu complicato entrare in relazione con ognuno di loro: ho dovuto capire fino a che punto mi potessi spingere senza che i miei gesti o le mie battute potessero essere mal interpretate o ledessero qualcuno. È stato difficile perché nelle relazioni personali che vivo tutti i giorni è un aspetto che non considero spesso, mentre qua è molto più delicato, è la chiave per costruire buone relazioni con tutti e iniziare a creare un rapporto di fiducia in modo che loro si sentano ascoltati e non criticati da me. Ad oggi posso dire di sentirmi bene con me stessa quando penso a ciò che ho costruito, sono orgogliosa del rapporto che ho con tutti all’interno del villaggio, non solo con gli accolti e i detenuti ma anche con il mio OLP e gli altri responsabili. So di avere uno spazio in cui potermi confrontare e sfogare qualora ne avessi bisogno, sia con il mio OLP ma anche in casa, sento il calore e la vicinanza di tutte le persone del villaggio, anche quelle che magari incontro solo in pausa bevendo un caffè.

In questi mesi ho imparato molte cose, tra le altre, quella che mi risulta più difficile attuare ma che sarà anche molto utile per il mio futuro, è che non sempre è possibile portare a termine ciò che vorremmo nei tempi desiderati. È importante riflettere e prendersi i tempi di cui abbiamo bisogno, ma anche saper aspettare i tempi altrui. Il fatto che il mio OLP sia uno psicologo, inoltre, mi arricchisce ancora di più perché non solo mi sta aiutando nei momenti di difficoltà, ma mi sta anche insegnando a concretizzare molti concetti e teorie che avevo studiato e spiegando molti aspetti legati alla pratica in studio. Credo che il valore aggiunto del mio servizio civile sia proprio il vivere a 360° per cinque giorni la settimana la comunità, ciò mi permette di vivere le stesse esperienze positive o negative che siano, entrare più a fondo nei problemi e nelle diverse situazioni che si presentano non restando nella superficialità di un’esperienza part-time. Grazie a ciò ho potuto conoscere anche altre realtà e membri di comunità che altrimenti non avrei conosciuto, sto vedendo i pro e i contro di diverse situazioni che prima erano lontane da me, come semplicemente sbrigare pratiche burocratiche quali l’iscrizione all’ufficio di collocamento o il rinnovo di un permesso di soggiorno.