Albania, terra di contraddizioni

servizio civile estero Testimonianze

Scritto da Marta Ricci, volontaria in Servizio Civile in Albania nel progetto “CASCHI BIANCHI CORPO CIVILE DI PACE 2021 – ALBANIA”

L’ Albania è terra di montagne e di mare, di natura selvaggia e abbandonata.

L’ Albania è terra di villaggi, dove il tempo sembra essersi completamente fermato o dimenticato della vita; è terra di tradizioni antiche tramandate di generazione in generazione, tradizioni che sembrano non curarsi dello scorrere del tempo, che si intrecciano con la normalità delle città.

L’ Albania è terra di periferia e di centro, di povertà e di agio. È terra di contraddizioni.

È terra ancorata al passato con uno slancio verso il futuro.

È terra di storia e di riscatto ancora lontano.

L’ Albania è terra accogliente e tagliente.  E’ terra grigia che ti cattura.

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L ’Albania è un paese che presenta diverse contraddizioni e una di queste riguarda le strutture, gli edifici.

C’è una stridente coesistenza di strutture moderne con case che sembrano crollare da un momento all’altro. Le strutture moderne incorniciano il centro della città in cui mi trovo, Scutari, e le danno l’aria di una città “normale”, come può esserlo una cittadina italiana. Camminando per le strade del centro quasi ti dimentichi di essere in un paese, in realtà, del terzo mondo, che mostra il suo lato più bello e che cerca di nascondere quello peggiore, la periferia, dove ti attende un panorama completamente diverso.

Anticipate da strade sterrate, si trovano case semplici, precarie, sembrano delle capanne; case da cui cadono  fili della luce, case senza finestre, senza riscaldamento. Case in cui entra l’acqua e che rimangono isolate durante il periodo delle piogge. Case che non possono essere chiamate case, perché in determinate condizioni non dovrebbe vivere nessuno.

La terza settimana di servizio civile si è aperta con l’inizio del campo estivo “Fuori le mura”. Campo che viene realizzato ogni anno e che coinvolge bambini e ragazzi delle famiglie della periferia che la Comunità Papa Giovanni XXIII segue da diverso tempo e rappresenta per loro un’occasione davvero unica di socializzazione, divertimento e spensieratezza. Quest’anno, durante la settimana di campo, grazie all’aiuto e alla presenza di un gruppo scout, il Clan BO 13, sono stati proposti bans, giochi, attività manuali e ricreative che potessero rappresentare un fascio di luce nella giornata dei bambini e ragazzi presenti.

Ed è forse proprio questo il senso del campo: essere al fianco dei ragazzi, starci, conoscerli, parlarci, divertirsi, dare loro la possibilità di vedere e vivere altro, dare loro momenti di felicità e serenità.

È stato, ma lo è tutt’ora, un regalo speciale vederli sorridere spensierati; i loro volti contenti, gli occhi ricchi di bellezza li custodisco con cura, perché mi hanno donato tanto.

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Come Casco Bianco, nella realtà albanese, mi sto sporcando le mani, sto toccando la concretezza attraverso il progetto “Incontriamo la povertà”, progetto che qui a Scutari è ormai consolidato e avviato da diverso tempo e che si compone di tanti piccoli servizi rivolti alle famiglie che si trovano in situazioni di povertà, anche estrema, e che vivono alla periferia della città.

È attivo un centro d’ascolto, due volte a settimana, al quale si possono rivolgere persone in difficoltà (con qualsiasi tipo di difficoltà). Rappresenta un primo contatto con le famiglie, dove si capiscono i bisogni, le necessità e si cerca poi, in un secondo momento, di capire se e in quale modo e misura si può intervenire: fornendo aiuti alimentari, sanitari, scolastici o economici, dove possibile.

Nei pomeriggi dal lunedì al venerdì, invece, viene realizzato un doposcuola, un vero e proprio aiuto compiti, grazie alla presenza anche di una maestra, aperto a bambini e ragazzi del progetto e non solo. Seguiamo bambini e ragazzi che si trovano in situazioni davvero delicate: al fianco di una difficoltà magari scolastica, si aggiunge anche la condizione di povertà (molti di loro non hanno, per esempio, il vestiario sufficiente per affrontare la stagione invernale).

Settimanalmente, nello specifico, il sabato mattina, vengono effettuate visite periodiche alle famiglie che la Comunità segue e che quindi fanno parte del progetto “Incontriamo la povertà”. Sono visite molto significative per me, perché mi permettono di entrare in contatto con le famiglie, fanno nascere in me il desiderio e la voglia di ascoltarle e di provare a fare qualcosa per loro, anche il minimo per migliorare la loro condizione. Queste visite costituiscono un po’ un “tendere la mano”, è come dire: “guarda io sono qui, vicino a te, ti sono a fianco”; in alcune situazioni, la possibilità di intervento è limitata, ma questo esserci, per quanto possa sembrare poco, a me da tanto.

Inoltre, il progetto è composto anche da adozioni a distanza di bambini e ragazzi (fino ai 17 anni) che appartengono a queste famiglie, in modo tale da aver comunque un sostegno in più.

Una parte del progetto, denominata “Colori e stoffe”, coinvolge le donne della periferia, donne che vivono in condizioni di difficoltà economica, ma che, nella maggior parte dei casi, sono anche vittime di violenza domestica. Con questo servizio si dà alle donne un vero e proprio lavoro: esse realizzano diversi materiali, come astucci, borse, segnalibri, etc.…. utilizzando l’antica tecnica del telaio e usando tipiche stoffe albanesi. L’obbiettivo è quello di garantire dignità a queste donne, partendo dal riconoscimento di una giusta retribuzione, che quindi rispecchia il lavoro svolto e fornisce per loro una strada verso l’emancipazione.

In occasione del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, noi Caschi Bianchi, insieme ad alcune figure professionali della Comunità, ci siamo attivati, con l’obbiettivo di sensibilizzare le nuove e vecchie generazioni sul tema, con un particolare sguardo alla prevenzione della violenza, lanciando un messaggio di interesse al tema, piuttosto che di indifferenza. Perché al di là del luogo, della cultura, delle abitudini, della lingua, la violenza è un fenomeno che tocca tutti e che tutti abbiamo sotto gli occhi.

Questa volontà, ma mi permetto di aggiungere anche necessità, ci ha portati a realizzare diverse attività, incontrando persone, visitando luoghi che costituissero terreno fertile per poter gettare questo seme.

La campagna si è aperta con la testimonianza molto toccante di una donna che ha avuto il coraggio di dire basta, di ricominciare, di ripartire da zero e di dare un futuro migliore a sé stessa e ai suoi figli.

Testimonianza avvenuta insieme agli utenti del Centro Diurno di Riabilitazione psichiatrica “Frederik Prenga” di Tirana, sottolineando come poter gestire relazioni conflittuali, le quali possono sfociare in una relazione violenta.

Poi ci ha traghettati verso due scuole: un istituto tecnico-professionale di Scutari e una scuola superiore privata della città di Lezhë. Ci sembrava davvero importante andare nelle scuole, incontrare i ragazzi, capire il loro punto di vista sul tema, sensibilizzarli, perché il domani parte proprio da loro. Attraverso attività di brainstorming che avevano come tema principale gli stereotipi di genere, i ragazzi e le ragazze hanno avuto modo di confrontarsi, di riflettere, di esprimere le proprie idee sul tema.  Penso che questa attività abbia davvero gettato un piccolo seme ed è stato molto significativo capire il punto di vista dei ragazzi. Ragazzi che, al di là di quella che si possa sembrare, hanno affrontato il tema con molta serietà, si sono messi in discussione. In Albania, l’uguaglianza di genere è ancora molto lontana, forse non è neanche presa in considerazione, il tema della violenza è vivo, serpeggia per le strade accompagnato da indifferenza. Ma questi ragazzi mi hanno fatto capire che anche loro sentono tanto questo tema, sono tutt’altro che indifferenti. E penso che da loro si possa partire, investire, per un futuro migliore.

Il passo successivo è stato quello di entrare in diretto contatto con le donne; quindi, è stata proposta un’attività di prevenzione della violenza presso l’Azienda Melgushi di Scutari, composta da donne che lavorano tanto, per uno stipendio davvero misero. L’obbiettivo è stato quello di far capire alle donne che c’è una rete di sostegno intorno a loro, che cercare aiuto in caso di bisogno è di primaria importanza per loro stesse e per le persone vicine.

A questo, si aggiunge anche il racconto del modello di servizio di pronta accoglienza per donne vittima di violenza domestica della Comunità, a Scutari, agli studenti e alle studentesse della facoltà di Scienze dell’educazione, Dipartimento di Psicologia e Lavoro Sociale dell’università di Scutari. Ci si è concentrati sulla spiegazione della pronta accoglienza, che si basa su protezione, riabilitazione e responsabilizzazione delle vittime di violenza domestica.

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