Scritto da Alessandra Livio, volontaria ESC – European Solidarity Corps nel progetto “ESC in supporting local youth and minor asylum seekers – GREECE” a Ioannina, presso Youth Center of Epirus
Inizio a scrivere questa testimonianza quando ormai rimane meno di un mese alla mia partenza da Ioannina. Da un lato inizia a salire una sottile malinconia, per il fatto di dover lasciare questa piccola città incastonata fra le montagne e lontana dallo stereotipo commerciale della Grecia. Soprattutto, è difficile dover accettare di abbandonare tutte le persone che hanno affollato e colorato la mia permanenza qui. Dall’altro c’è la certezza che i momenti preziosi passati in questi mesi insieme agli altri volontari, ai ragazzi della facility e agli amici greci, rimarranno indelebili nella mia memoria: anche quando i loro volti inizieranno a confondersi e sbiadirsi, i loro nomi e i loro insegnamenti non sfumeranno nell’oblio.
Faccio parte del team di volontari internazionali dello Youth Center of Epirus, una Ong impegnata in progetti di educazione non formale e d’integrazione di minorenni non accompagnati richiedenti asilo. La mia giornata si divide in due parti integrate fra loro. La mattina lavoro su progetti personali di content creation sul tema dell’immigrazione e del diritto d’asilo, che mi permettono di approfondire la conoscenza della storia, lingua e situazione politica attuale dei paesi da cui origina il flusso migratorio. Oltre a questo, facciamo ricerche su giochi, laboratori, lavoretti ed esperimenti da proporre nel pomeriggio ai ragazzi della struttura di accoglienza “Agios Athanasios” di Perama. I pomeriggi trascorsi alla facility o “hotel” – come la chiamano i ragazzi –rappresentano, infatti, il momento cruciale e più emozionante di questa esperienza. Ogni giorno è scandito dal rituale delle strette di mano con ognuno dei ragazzi della facility, calorosamente ripetute infinite volte e accompagnate da espressioni del nostro slang particolare, un misto d’inglese, francese, turco, afgano, arabo e somalo. Ai saluti seguono le attività di educazione non formale – giochi di gruppo, calcio, basket, pallavolo, pittura, origami, balli e attività di cucina di gruppo – che offrono l’opportunità di parlare con i ragazzi, conoscere i loro caratteri, le loro passioni e aspirazioni, cercando di superare le difficoltà del linguaggio facendo ricorso a parole chiave, gesti, risate e sguardi.
La parte più difficile di questa esperienza è costituita proprio da questo tentativo di superare i limiti della comunicazione e di prospettiva, un balbettante tentativo di apprendimento di suoni inconsueti, parole e significati provenienti da lingue extraeuropee; un costante lavoro di decostruzione e ricomposizione di certezze e visioni, per abbandonare una mentalità eurocentrica e spostare lo sguardo al di là dei confini imposti dall’istruzione scolastica, dal senso comune o dalla politica. È un momento di crisi nel significato etimologico delle parole: la crisi, dal verbo greco krino “separare, discernere, giudicare, valutare”, è autoriflessione, valutazione che può portare turbamento e incertezza nel presente, ma anche condizione necessaria per un miglioramento, una rinascita nel futuro.
La crisi è passeggera, implica un movimento in avanti che mi coinvolge, insieme agli altri volontari, tanto quanto i ragazzi della facility. I ragazzi, di età compresa tra i 12 e 17 anni, possiedono una mentalità adulta costretta in corpi da adolescenti poiché sono “on the move”, sono dovuti crescere in fretta e da soli tra le molte difficoltà del viaggio. Vengono da paesi vicini e lontani segnati da guerre e povertà, dove hanno lasciato la famiglia, gli amici, la scuola, e sognano di costruirsi una vita nei ricchi paesi dell’Europa settentrionale e di riunirsi o portare lì le loro famiglie. Sono piccoli capi famiglia che si addossano non solo i propri sogni, ma anche le aspettative e le speranze delle loro famiglie. Solo a causa della lentezza della burocrazia per la domanda di asilo si ritrovano fermi, sospesi in un tempo dilatato, nell’attesa a volte vana di ottenere i documenti necessari per continuare il loro viaggio. A volte, l’impellenza della loro giovane età e delle loro aspirazioni e il senso di responsabilità che hanno verso la loro famiglia li porta a partire all’improvviso, ad abbandonare la struttura per tentare un’altra strada, più pericolosa e rischiosa.
In modo diverso, anche noi volontari siamo in movimento, di passaggio: accomunati da quella crisi, quell’insoddisfazione e incertezza derivante dai percorsi lavorativi prestabiliti e tradizionali, siamo approdati a Ioannina alla ricerca di qualcosa dentro e fuori di noi, nuove strade per il futuro. Paradossalmente, invece di ricoprire un ruolo di guida nei confronti degli adolescenti della facility, come presupporrebbe la tipologia di attività educativa che svolgiamo, siamo noi ad aver imparato molto da questi ragazzi. Ricchi di questi insegnamenti e memorie, siamo anche noi pronti a ripartire, chi per l’Asia, chi per l’America Latina, chi per l’Europa. Una volta terminato il progetto ESC in Grecia, partirò anch’io, seguendo quella rotta balcanica che i ragazzi decidono di intraprendere. A giugno, infatti, inizierà il servizio civile in Bosnia Erzegovina, nella speranza di continuare questo processo di decostruzione e ricostruzione, scomposizione e creazione. In una parola, crescita.