Scritto da Alessandra Livio, volontaria ESC – European Solidarity Corps nel progetto “ESC in supporting local youth and minor asylum seekers – GREECE” a Ioannina, presso Youth Center of Epirus
Il venerdì è la giornata dedicata allo sport alla facility, in particolare al calcio. La struttura non dispone di uno spazio esterno per giocare, ma solo di un grande parcheggio invaso da erbacce e rovi, attraversato da gatti randagi alla ricerca di scarti nei cassonetti o da malinconici cani randagi. Per giocare, dobbiamo raggiungere il campetto sportivo di Perama, a 20 minuti di distanza a piedi, situato ai piedi delle montagne.
Il giorno precedente aveva piovuto. Arrivati al centro sportivo, abbiamo subito notato che il campetto di prato sintetico era occupato dagli allenamenti della squadra femminile locale. In passato, avevamo avuto una discussione con l’allenatore che, esprimendosi testardamente solo in greco, affermava di avere il diritto di precedenza per l’utilizzo di quello spazio comune. Per questo motivo quel giorno abbiamo deciso di evitare discussioni e giocare nel malridotto campo più grande, in cui il manto erboso è irregolare, pieno di buche e macchie di fango. Fatte le squadre, abbiamo iniziato la partita, correndo con attenzione per non scivolare sul fango e sorreggendoci a vicenda nei momenti di disequilibrio.
Quella non era la giornata fortunata di H.: dopo poco aver iniziato a giocare, la suola di una delle sue scarpe, ricevute nuove quello stesso giorno, si è scollata facendolo inciampare. H. ha continuato a inciampare fino a quando non ha rinunciato completamente alle scarpe, togliendosi anche quella integra, e ha ripreso a giocare scalzo. Tuttavia, anche giocando a piedi nudi, H. non riusciva a correre senza cadere e finire nel fango. Dopo le prime cadute fortuite, H. ha deciso di abbandonarsi al nuovo gioco con tutta la sua spensieratezza da giovane adulto: non una partita di calcio ma una gara di tuffi nel fango, che ha suscitato l’ilarità generale. Invece di correre dietro alla palla e cercare di rubarla all’avversario, H. si buttava apposta nella fanghiglia di terra ed erba per farci ridere.
Tra un tuffo e una risata, i ragazzi continuavano a passarsi la palla, prestando particolare attenzione a coinvolgere anche il più piccolo tra loro, Y. Poiché Y. era il più giovane del gruppo, non aveva il permesso di andare al campetto da solo, ma solo accompagnato da noi volontari. Giocando insieme agli altri ragazzi, più grandi, più alti, più veloci di lui, per Y. era difficile riuscire ad entrare in possesso della palla ma i suoi compagni, con la premura e la tenerezza di fratelli maggiori, facevano sempre attenzione a coinvolgerlo, passandogliela piano, incitandolo ed esultando per lui, lasciandolo segnare.
Adesso H. e Y. non sono più ospitati nella facility, se ne sono andati senza avvertire nessuno per perseguire a qualsiasi costo il loro sogno: l’uno quello di raggiungere la Francia e riprendere a studiare per diventare chirurgo, l’altro quello di andare in Germania e riunirsi alla sua famiglia. Non si hanno più notizie di loro, forse sono ancora ad Atene, in prigione o per strada, forse sono arrivati alla loro meta. Nell’attesa di sapere dove si trovino, li ricordo avvolti nella luce calante di quel pomeriggio, mentre tornavano alla facility: H. completamente imbrattato ma incurante del fango e un sorriso furbo e malizioso sulle labbra; Y. che camminava mano nella mano con O., un ragazzo somalo. Come canta Leonard Cohen c’è una crepa in ogni cosa – in ogni persona, ogni evento, ogni ricordo – ma è dalla crepa che entra la luce. Ogni evento, anche il più doloroso come una separazione improvvisa, possiede dentro di sé una luce, un significato, un’opportunità. Spero che per H. e Y. sia stato così.