Scritto da Maria Bianca Broccoli, volontaria in Servizio Civile a Forlì (FC) nel progetto “2022 Ricordati di me”

Mi chiamo Maria Bianca, ho venticinque anni e ho svolto due mesi di servizio civile all’estero, precisamente a Fatima, in Portogallo, nell’ambito del progetto “2022 Ricordati di me” con la Comunità Papa Giovanni XXIII.

Ancora ricordo il giorno in cui mi è stato comunicato che sarei dovuta partire in estate, il primo di luglio, dopo appena un mese dall’inizio dell’intera esperienza di servizio civile: ho passato tutto il tempo a piangere! Ero terrorizzata perché non avevo mai vissuto in una casa famiglia, a stretto contatto con persone povere e fragili, e quindi pensavo che non sarei stata in grado di essere d’aiuto, di offrire un supporto valido e degno a tutte le persone che in quella casa ci abitano.

Tuttavia, alla fine sono partita. E sono arrivata a Fatima, nel distretto di Santarem, in Portogallo.

È davvero difficile descrivere cosa si prova a vivere lì; forse la metafora più adatta per spiegarlo è quella dei magneti. Se si mettono due magneti vicini, tra di loro si stabilisce una forza intensissima che li fa avvicinare e li porta a stare attaccati l’uno all’altro e per quanto si cerchi di separarli, la forza che li lega ha una tale potenza da riportarli sempre uniti. Ecco, credo che tra me e la casa di Fatima si sia più o meno sviluppata una connessione del genere.

Al mio arrivo, ho cercato di entrare in punta di piedi nella realtà delle persone accolte nella casa, perché sentivo di avere molto da imparare e da conoscere: avevo paura di essere giudicata inadeguata, ma anche di essere io stessa una giudice spietata verso gli altri, incapace di saper guardare al di là di quello che si mostrava all’apparenza. E, lentamente, questa famiglia è diventata anche la mia.

Antonio è stato la prima persona che ho conosciuto quando sono arrivata: è il responsabile della casa e fin da subito mi ha accolto con grande gentilezza. Non avevo mai incontrato fino ad ora un uomo come lui che non ha paura di mostrare i suoi limiti, le sue contraddizioni e le sue mancanze. La sua sincerità così cruda e disarmante all’inizio mi ha fatto paura ma gradualmente ho iniziato a fidarmi sempre più di lui, perché ne ho percepito la bontà e la vocazione al bene, all’aiuto al prossimo, all’ascolto, alla comprensione. Mi ha sempre chiesto solo una cosa: “Bianca, fai condivisione con noi. Donati completamente a chi ti sta vicino”. Piano piano, le mie insicurezze mi hanno abbandonata e ho iniziato sempre più a fare condivisione.

Fare condivisione a Fatima ha significato in primo luogo mettermi a completa disposizione di tutti e della casa: pulire gli spazi comuni, aiutare in cucina, fare la spesa, riordinare… insomma, dovunque ci fosse bisogno, intervenire e dare una mano. E di una mano c’è sempre stato bisogno eccome! Perché la casa di Fatima non accoglie solo fragili e bisognosi ma anche pellegrini che si trovano in cammino, sulla via di Santiago. E così, capitava che spesso arrivassero nuove persone senza preavviso, in cerca di un pasto e di un letto per riposare la notte prima di rimettersi in viaggio, e allora c’erano da preparare i letti, fare le registrazioni dei dati personali, mettere sul fuoco un chilo di pasta per la cena… ma soprattutto, intrecciare la propria storia di vita con quella di tanti sconosciuti di nazionalità diverse che una volta a tavola, davanti a un gustoso piatto di pasta fumante, diventavano fratelli, amici che sembrava di conoscere da una vita. Con alcuni di loro sono nate delle amicizie che spero di portarmi dietro anche nel futuro a venire.

Fare condivisione a Fatima ha significato donarmi agli altri senza avere paura di restarne ferita: sento di aver stretto un forte legame con Rosangela, una signora sarda che è arrivata a Fatima un anno fa con suo figlio I. come pellegrina; tuttavia, per quell’energia magnetica che esiste in questa casa e di cui scrivevo prima, ha deciso di fermarsi quattro mesi lo scorso autunno, e di ritornare a maggio di quest’anno, fino a settembre. Rosangela si occupa in primo luogo di cucinare piatti deliziosi ma anche di fare qualsiasi cosa sia richiesta per rendere la casa il più ordinata possibile; per questo ho cercato di aiutarla al massimo e nel tempo credo di aver sviluppato per lei lo stesso amore che si prova per una nonna, anche se non siamo parenti di sangue: la sua gentilezza, la sua irriverenza, la sua forza ciclopica nell’affrontare le avversità fanno di lei una persona meravigliosa che è stato un onore conoscere. Penso che me la porterò per sempre nel cuore.

Come non nominare, poi, il bellissimo orto che sorge proprio accanto alla casa? Se i piatti di Rosangela sono squisiti, molto lo si deve anche alla bravura alchemica di Dimitri, che è a Fatima da quasi un anno con sua moglie per aiutare Antonio nella gestione della casa. La terra in cui sorge l’orto una volta era secca e all’apparenza non adatta a far crescere nulla; ora, invece, è piena di piante di ortaggi e alberi da frutto, che tutti i giorni arrivano direttamente in tavola, freschi di raccolta. Con Dimitri ho raccolto tantissimi fagiolini e l’ho aiutato a monitorare i tubi dell’acqua da dare alle piante. La sua dolcezza e la sua pazienza mi sono stati tanto d’aiuto nel vivere appieno la mia esperienza qui.

Fare condivisione a Fatima ha significato conoscere nel profondo gli abitanti della casa: il figlio di Rosangela, I., soffre di schizofrenia e ha un ritardo mentale, ed ama la musica pop come me e fa tante fotografie. Ogni tanto abbiamo ascoltato musica insieme, abbiamo chiacchierato tanto e riso altrettante volte, perché I. ha un senso dell’umorismo sottile, ma molto efficace. A. è l’uomo più anziano della casa e si occupa di fare il pane tutti i sabati insieme ad Antonio, un pane delizioso, soprattutto appena sfornato. A. ha passato la maggior parte della sua vita in mezzo alla strada e ha perso la madre a undici anni. Per questo, soffre di carenze emotive e ha bisogno di essere guidato nell’interazione con le altre persone, soprattutto con le donne. Ma, come ha detto una volta di fronte a tanti che lo stavano ascoltando, in questa casa ha trovato una famiglia e si sente felice. S. è stata la mia compagna di stanza per un mese. Ha sofferto di depressione e ha subito violenza domestica negli scorsi due anni, che l’hanno portata anche a essere separata da sua figlia. All’inizio ho trovato molto difficile condividere tutti i miei spazi con lei e mi sentivo soffocata dalla sua costante presenza accanto a me, dal suo chiedermi insistentemente cosa fare per aiutare in casa, dal suo cercare in me una guida. Lentamente, però, ho accettato e compreso le sue fragilità e mi sono affezionata tanto a lei perché, come chiunque altro, ha solo bisogno di essere amata senza giudizio. J. è un signore mozambicano che suona il pianoforte. È ghiotto di fichi e sa parlare tante lingue. Inoltre, ringrazia sempre, anche quando è lui a fare qualcosa per gli altri. A. è un ragazzo angolano che soffre di schizofrenia. Sopporta con grande forza il dolore che la sua malattia lo costringe a patire, ma nonostante questo ha un cuore purissimo, che lo porta a mettersi sempre a servizio di chiunque, a spogliarsi di tutto per donare senza chiedere nulla in cambio. I suoi occhi e la sua presenza hanno portato molta pace dentro di me, una pace di cui non credo mi dimenticherò mai.

Tutti loro sono stati i miei coinquilini fissi per due mesi, e insieme abbiamo vissuto la GMG che, pur avendo avuto luogo a Lisbona, è arrivata anche qui a Fatima. Infatti, le prime settimane di agosto abbiamo ospitato tanti giovani che sono venuti ad incontrare Papa Francesco in Portogallo e che si sono fermati qui per poter pregare la Madonna di Fatima al santuario. È stato bellissimo ascoltare le loro storie e le loro voci piene di gioia e di energia che cantavano canzoni di speranza, ed essere testimoni attivi della loro sete di vita. In quei giorni, la casa si è riempita di tanto rumore ma anche di tanto colore: i ragazzi ospiti hanno realizzato dei dipinti sulle mura del cortile di casa, che prima era spoglio. Ora, invece, lo riempiono il viso sorridente e conciliante di Don Oreste Benzi, il disegno di un gruppo di ragazzi felici che ridono attorno a un falò e il logo della GMG.

Sarebbe da ipocriti dire che i giorni di GMG siano stati facili per noi: il lavoro era tanto, il caldo si faceva sentire e nessuno di noi aveva mai servito a tavola ottantacinque persone! Ne siamo usciti molto stanchi e affaticati ma allo stesso tempo credo che queste giornate ci abbiano uniti ancora di più: abbiamo imparato a dividerci i compiti, a fidarci del lavoro degli altri e a condividere ansie, paure e difficoltà. Per me, dopo questa esperienza, a Fatima non c’erano più solo delle persone con cui vivevo, c’era la mia famiglia. Non di sangue, certo, ma l’amore che mi legava a loro era lo stesso che si prova per un parente. É lo stesso, perché sono certa che queste persone, che mi sono entrate nel cuore, non ne usciranno più.

In sostanza, penso che questi due mesi a Fatima siano stati per me come fiorire: al mio arrivo ero un seme piccolo, nascosto sotto terra, impaurito e desideroso di luce. Col tempo, la gratuità con cui mi sono donata e tutto l’amore che ho ricevuto in cambio mi hanno fatto crescere, alzare la testa verso l’alto, verso quell’azzurro che domina quasi sempre i cieli di Fatima e che non ci si stanca mai di guardare. Sono cresciuta in mezzo a tanti bellissimi fiori, fragili sì, ma con uno stelo talmente duro da superare anche le peggiori tempeste.

Grazie Fatima, grazie Antonio, grazie Rosangela, grazie Dimitri, grazie a tutti, vi voglio bene!