Non benvenuti a Bangkok

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Scritto da Emmanuele Castiglia, volontario in Servizio Civile a Bangkok nel progetto “CASCHI BIANCHI CORPO CIVILE DI PACE 2022 – ASIA DEL SUD”

Avete presente quella sensazione estiva che si prova quando uscendo di casa, col condizionatore acceso a temperature artiche da diverse ore, dopo essersi spaparanzati sul divano nei vari tentativi di zapping e scorrimento di dita sullo schermo del cellulare alla ricerca vana di qualche notizia che ci incuriosisca a tal punto da non farci vincere la pigrizia, ci si lascia alle spalle il portone di casa, facendolo sbattere il più velocemente possibile per evitare che il fresco generato dal condizionatore si disperda? È come passare da 0 a 100 in un istante, qualcosa di simile al ricevere un gavettone in faccia quando meno te lo aspetti o quando salta la corrente per un sovraccarico di corrente mentre stai giocando online coi tuoi amici e non puoi salvare la partita in corso. È una sensazione fastidiosa, lo sbalzo termico che dal fresco secco va al caldo umido, ti fa sentire improvvisamente a disagio, la maglietta si incolla al corpo per l’umidità e la pelle non respira più trasudando ogni goccia di sudore rimasto. Cominci a sentirti sporco ovunque e le tue mani poco alla volta diventano appiccicose e senti quel continuo istinto di lavarti che permane fino a che non ti lavi davvero.

Ecco, Bangkok durante la stagione delle piogge, regala questa sensazione in modo costante e invariato per molti mesi dell’anno. Il tutto accompagnato da un’atmosfera tetra e distopica, dominata da un cielo pesante e scuro come il piombo. Una megalopoli contornata da torri e palazzi costruiti con enormi masse di colate di cemento armato, vetro, asfalto, plastica e polvere. Una nebbiolina di smog e untume incessante che ti accompagnano ovunque ti sposti e non permettono di vedere orizzonti soleggiati o pianure verdeggianti al di là dell’afoso grigiore atmosferico e dei tessuti urbani cicatrizzati della città.

A tre quarti d’ora di taxi e autostrada dall’aeroporto, ed una manciata di baht, c’è un edificio chiamato “BanTewa” (“Casa degli Angeli” in thailandese) che aspetta con ansia il nostro arrivo. Ma non è un’ansia di chi attende con gioia, ma più simile ad un’ansia di chi vive costantemente l’ansia perché non sa fare diversamente. Poi ci sono i ragazzi, o gli angeli, come piace chiamarli ai missionari che hanno preceduto noi. Alcuni quando ti vedono sorridono, altri non possono farlo e si limitano a seguirti con gli occhi, tra di loro c’è chi vive lì da molti anni.

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