Scritto da Andrea Piccoli, volontario in Servizio Civile a Valdivia nel progetto “CASCHI BIANCHI CORPO CIVILE DI PACE 2022 – CILE”
Scrivo queste poche righe sul servizio civile sapendo già che saranno parole incapaci di descrivere al completo l’esperienza che sto vivendo qui in Cile. Io mi trovo nella verde città di Valdivia, associo a Valdivia questo colore perché è caratterizzata da ciò che io chiamerei “boschi” e che i valdiviani, con profonda umiltà, chiamano “parchi”.
Qui vivo in una casa di accoglienza per migranti. Il Cile è uno dei paesi più sviluppati del Sud America e quindi è considerato un luogo di speranza soprattutto per venezuelani, haitiani colombiani e peruviani. Il mio ruolo in questa casa, insieme ad un altro Casco Bianco, è quello di supportare le persone accolte e occuparsi della gestione della struttura. Ciò che mi piace di questa casa è che è un’opportunità per le persone per avere accesso a diritti fondamentali, come il cibo e un’abitazione, mentre cercano di legalizzare la propria situazione e di guadagnare abbastanza soldi per potersi permettere una propria casa. La loro situazione è molto complicata visto che qui in Cile le persone senza documenti regolari vengono usate e vedono i propri diritti calpestati. Diversi datori di lavoro, infatti, utilizzano la situazione di irregolarità di molti migranti qui a Valdivia per pagarli meno e poterli licenziare quando gli è più comodo. Un esempio è quello di un ospite di “Casa migrante” che ha dovuto posticipare le proprie nozze perché il suo datore di lavoro non gli lasciava un giorno libero, cercando di convincerlo a non sposarsi perché troppo giovane, per poi licenziarlo perché ha dovuto chiedere 30 minuti di permesso per andare a prendere la figlia a scuola e, inoltre, non gli sono stati pagati i giorni lavorati di quel mese.
Abbiamo preso questo incarico cercando di costruire le relazioni in modo orizzontale, stringendo rapporti di amicizia con adulti e minori, le figlie della coppia ospitata in casa, che vivono qui. La casa è gestita da tutti noi, a turno si cucina, si pulisce o si lavano i piatti e ciò che permette a questa casa di essere viva e di essere efficace sono proprio le relazioni di amicizia che si sono costruite e che sono tuttora in evoluzione.
Altre esperienze che sto facendo con il mio servizio civile riguardano i “talleres” – “laboratori” in spagnolo – con ragazzi con disabilità cognitiva, che cerchiamo di sostenere nello sviluppo delle autonomie e sviluppo delle capacità. In particolare, giocando a giochi da tavolo o insegnando loro a fare il pane che poi andiamo a vendere per finanziare il progetto o per pagarci le gite. Non avevo mai condiviso momenti con ragazzi con disabilità e mi rendo conto che è stata un’esperienza molto importante, perché la loro innocente schiettezza mi colpisce direttamente al cuore.
L’ultima esperienza che sto vivendo per me fondamentale è stata quella di fare talleres nelle scuole e di informare i ragazzi e le ragazze su alcuni temi come l’uso delle sostanze, la cura dell’ambiente, la violenza di genere e la nonviolenza. È stato duro vedere come qui la differenza tra scuola pubblica e privata sia molto più evidente e sentita, una divisione che già segna e disegna le traiettorie delle vite di ragazzi che hanno la sfortuna di nascere nella parte sbagliata della città. Questa differenza è marcata perché la scuola pubblica ha molte meno risorse, con molti più studenti per classe e gli alunni, quando si raccontano, si sentono protagonisti di storie di serie B quando parlano della propria istruzione pubblica, perché garantisce loro un futuro limitato rispetto alle scuole private. Nonostante questo, ho visto molta consapevolezza politica e voglia di poter cambiare il proprio Paese sia nei ragazzi che nei docenti rispetto a temi ritenuti importanti. Ho visto parole abbandonate sulla lavagna che raccontavano la lezione di inglese delle ore precedenti, parole come “health care” (assistenza sanitaria), “universal care” (cura universale). Parole loquaci. Penso che il Cile sia un Paese con ferite tanto profonde, se penso a tutti i desaparecidos, a tutte le famiglie che ancora chiedono giustizia rispetto ai corpi dei propri familiari mai ritrovati. Allo stesso tempo è un Paese con tanta speranza, tanta voglia di mettersi in gioco, di rimarginare questo trauma e proseguire verso un Cile più umanitario, egualitario e comunitario.
Consiglio il servizio civile, perché è un’opportunità di vivere, condividendo altre realtà, nuovi mondi, ed è conoscendo il diverso che spesso ci rendiamo conto di cosa è davvero importante. Attraverso ciò che mi manca e non, mi sto rendendo conto di cosa mi rende davvero felice.