Amore e consapevolezza

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Scritto da Cristina Tavani, volontaria in Servizio Civile a San Clemente (RN) nel progetto “2022 Ecologia integrale e sviluppo sostenibile”

Comunque vada, tu continua a dare amore. Voglio iniziare così, perché è così che tutto è iniziato. Mi chiamo Cristina e sono una volontaria in Servizio Civile Universale. Ho scelto di fare l’esperienza del Servizio Civile all’interno di una comunità CEC e la mia scelta non è stata per nulla casuale. Studio Giurisprudenza e un domani mi piacerebbe lavorare nel sistema carcerario. Scegliendo il servizio all’interno di questa realtà ho potuto toccare con mano situazioni, forse, non alla portata di tutti i giorni. Ma che cosa significa CEC? E’ la sigla di Comunità Educante con i Carcerati ed è una realtà, appartenente ad un progetto, il cui scopo principale è quello della rieducazione del carcerato. Attraverso un percorso alternativo ed educativo, in una dimensione familiare, il detenuto recupera la propria dignità.
Ho iniziato la mia esperienza in una di queste realtà CEC e purtroppo all’interno di essa è anche terminata. Perché dopo esattamente 1 mese, sono stata rimodulata all’interno di un’altra struttura. Per alcuni problemi, la struttura da me scelta ha chiuso le attività inerenti al servizio civile e non mi ha sfiorato minimamente l’idea di abbandonare l’esperienza da poco iniziata. Ed è stato proprio questo il bello: spesso ciò che sembra la fine, è in realtà un nuovo inizio. E posso dire che il mio vero Servizio Civile è iniziato poco dopo all’interno di una struttura, che all’idea non mi convinceva tanto, ma che passo dopo passo è diventato il mio posto speciale. Sto parlando della Pietra Scartata. La Pietra Scartata è un luogo dove le persone “scartate” dalla società possono ritrovare la propria dignità attraverso il lavoro e la relazione. Posso dire che è anche un luogo di accoglienza e condivisione, un luogo che attraverso il lavoro porta tutti ad un fine unico: quello della relazione umana. Sostanzialmente che lavoro si svolge all’interno di questa realtà? Gli ambiti principali sono due: da una parte abbiamo il laboratorio dove avviene la lavorazione e la trasformazione di prodotti biologici locali e dall’altra parte abbiamo il reparto etichettatura dove i prodotti ultimati vengono confezionati ed etichettati. E chi svolge tutto questo? Beh, macchine a parte, c’è un gruppo di 30 persone circa, di cui una 20ina sono ragazzi speciali – persone con disagi psichici o fisici -, un’equipe di operatori con diverse funzioni di responsabilità e alcuni ragazzi dimessi dal carcere con forme alternative. E qualche volta ci sono anche alcuni gruppi di volontari o gruppi di ragazzi di altre realtà, come ad esempio ragazzi provenienti dalle CT (comunità terapeutiche) o provenienti dai CAS (centro di accoglienza straordinaria). Tutta questa varietà di presenze sono la forza e la risorsa principale della Pietra Scartata e di tutto ciò su cui noi costruiamo ogni giorno. La vita comunitaria mi ha trasformato. Mi ha permesso di scoprire l’essenziale. Credevo di essere venuta per aiutare i più deboli ma ho scoperto che sono loro ad aiutare me.
Grazie al servizio che sto svolgendo mi sono resa conto che tutti siamo fatti per amare, che anch’io sono fatta per amare. Ho tanto da dare ma anche tanto da ricevere. Una sorta di scambio reciproco da cui nessuno ne esce perdente.  Ai ragazzi diamo la consapevolezza che ciascuno ha la propria individualità, la propria personalità, la propria originalità… che in parole semplici possono essere liberamente loro stessi sentendosi a proprio agio. Sono felice di essermi messa in gioco nonostante questa realtà non sia stata la mia prima scelta. Sono grata per l’accoglienza ricevuta dagli operatori e soprattutto per l’amore speciale dei ragazzi che fin da subito hanno avuto per me. Sono entrata nella loro quotidianità in punta di piedi e in punta di piedi ho mosso i primi passi insieme a loro, con la costante paura di fare un passo falso. Ma grazie alla supervisione dell’OLP e della mia voglia di continuare ad esserci, tutti i dubbi, le paure e le incertezze pian piano si sono trasformate in attenzione, ascolto e curiosità. Ho imparato che cos’è la pazienza e cosa vuol dire rispettare i tempi dell’altro. Tutto è come una danza: ognuno ha il proprio tempo da rispettare e che necessariamente deve essere rispettato ma che tutti insieme ballano per lo stesso spettacolo. I ragazzi sono tutti protagonisti di questa realtà, nessuno è di più e nessuno è di meno. C’è un filo comune che lega tutti questi ragazzi e da qualche mese a questa parte mi sento legata anch’io ed è la vita. C’è vita quando al mattino tutti mi salutano calorosamente, c’è vita quando si lavora tutti insieme, c’è vita quando si ride e si scherza. C’è vita nel “ci vediamo domani” detto prima di andar via. C’è vita nei momenti di preghiera fatti insieme. C’è stata vita per me quando un ragazzo mi ha detto “mi fido di te”. C’è vita quando realizzo che sto vivendo e che non ho rinunciato ad essere felice. Tutto ciò mi sta migliorando la vita. Ho smussato angoli del mio carattere che tempo fa avevo costruito col cemento armato. E chi l’avrebbe mai pensato!
Quest’esperienza mi sta arricchendo, capisco ogni giorno di più la consapevolezza e sento che l’amore, dato in maniera opportuna e consapevole, può fare solo bene.