Scritto da Lisa Lorenzon, volontario in Servizio Civile a La Paz nel progetto “CASCHI BIANCHI CORPO CIVILE DI PACE – BOLIVIA 2024”
Dipendenza e libertà. Un ossimoro, due parole così distanti che il vocabolario Treccani indica tra i Sinonimi e Contrari. Eppure, per tutte le persone che per un motivo o per l’altro si ritrovano ad avere a che fare con l’alcol e la tossicodipendenza, sono due concetti che devono trovare un modo di venire integrati. Io l’ho potuto sperimentare in due contesti molto diversi: a Mestre, in Italia, dove lavoravo come Operatrice di Strada di Riduzione del Danno con persone che consumano droghe, e a La Paz, in Bolivia, come volontaria del Servizio Civile nella Comunità Terapeutica “San Vicente”, rivolta a uomini maggiorenni con dipendenza da alcol o da altre sostanze stupefacenti. Ti ritrovi a camminare costantemente lungo una fune. Da un lato c’è la voglia e il desiderio di aiutare, c’è il vedere la potenzialità dell’altro, i suoi punti di forza e la sua bellezza, c’è il supportare la motivazione al cambiamento, nello scegliere di condurre una vita differente. C’è il vedere come si modificano i tratti del viso nello scorrere del tempo passato in Comunità Terapeutica senza consumo, il notare il miglioramento nel modo di esprimersi, di giocare a calcetto, di partecipare alla vita quotidiana, c’è l’essere parte di quella che non riesco a fare a meno di descrivere come una forma di rinascita. Poi c’è l’altro lato della fune: la consapevolezza che l’essere umano è libero. È facile pensare di lanciarsi direttamente nel primo lato, è ciò che viene più spontaneo a chiunque. È anche la forma più immediata di amare, nel suo senso più ampio, l’altra persona. Ma per avere a che fare con chi ha una dipendenza questa forma non basta, e se ci si ferma a pensare un attimo, non basta per nessuno. La parte difficile è quella di trovare il modo di amare quando l’altro ricade, quando decide di seguire con la vita di strada, quando torna alla sua vita di prima.