Condividere la vita
volontariato europeoScritto da Katerina Triantafyllou, volontaria S.V.E. presso Casa della Pace in Italia
Se osserviamo il mondo solo dalla nostra parte non possiamo capire le cause che spingono le persone a fuggire dai loro paesi.
Attraversare un deserto, arrivare in Libia, salire su una barca e mettersi in viaggio verso l’Europa alla ricerca di una vita migliore e del riconoscimento di quello che noi chiamiamo “diritto umano”.
Queste persone si lasciano sempre dietro qualcosa o qualcuno, ad esempio la propria famiglia ma è solo in questo modo che riescono a fuggire da incertezza, povertà, guerre e privazioni dei beni più fondamentali.
La loro più grande motivazione è quella di vivere con dignità, a tutti i costi.
Secondo voi, in fondo, non cerchiamo tutti la stessa cosa?
Vivo da quasi sette mesi in un piccolo paese delle Marche (Mercatino Conca) presso la Casa dalla Pace per condividere il mio tempo e la mia vita quotidiana con i migranti provenienti dall’Africa occidentale. Anche loro vivono in questa casa un po’ particolare, accolti dalla Comunità Papa Giovanni XXIII e tutti insieme formiamo una famiglia molto variegata.
Posso dire con certezza che ho imparato tante cose in questa grande casa.
Ciascuno per le proprie ragioni, i miei ragazzotti (come li chiamo io), sono in attesa con grande pazienza di un permesso di soggiorno da parte della Commissione Territoriale che esamina le ragioni del loro essere. Il loro obiettivo è continuare ad inseguire i loro sogni e continuare il viaggio della vita.
Mi fa arrabbiare che la vita di alcune persone si basi su una risposta.
Quando questa risposta è positiva un grande sorriso si stampa sul loro viso e gli occhi cominciano a brillare, a quel punto il “mondo appartiene a loro”.
Ed io cosa faccio?
Il mio contributo è quello di aiutarli con la lingua italiana e con altri bisogni che possono sorgere nella vita quotidiana.
Alla fine posso dire che sto vivendo con un piede in Africa e un altro in Italia.
E quando ascolto la canzone di Ismael Lo (Tajabone) mi sento ancora più vicino all’Africa, anche se non capisco le parole.