Mi chiamano proprio così: fratello
servizio civile italiaScritto da Luca Cappelletti , volontario in Servizio Civile a Fabriano (AN) nel progetto “2020 Radici e ali”
Sono Luca Cappelletti, ho 22 anni e quest’anno ho deciso di svolgere il servizio civile partecipando al progetto “2020 Radici e ali” inserito nel programma “Rete solidale a favore dell’integrazione delle persone fragili” che nello specifico prevede assistenza e supporto a donne con minori a carico e donne in difficoltà o particolarmente vulnerabili.
Ho deciso di fare questa scelta ed iniziare questo percorso poiché avevo terminato gli esami universitari prima del previsto e perché avevo voglia di mettermi in gioco in una nuova esperienza per il sociale dopo aver abbandonato gli scout nell’anno precedente.
Proprio per questo motivo, avendo avuto un passato scoutistico, ero abbastanza a conoscenza di ciò che sarei andato a fare, grazie alle esperienze di servizio simili e forti che ho vissuto con il gruppo scout, come ad esempio: esperienze con migranti, servizio in centri di recupero da tossicodipendenza, aiuto a persone con disabilità ecc.
Attualmente svolgo il mio servizio all’ interno della struttura “Casa famiglia tra le nuvole” a Fabriano, in provincia di Ancona. In questa casa famiglia sono ospitate donne vittime della tratta e dello sfruttamento, di varia età e nazionalità, che sono state “salvate” dalla strada grazie all’ass. Comunità Papa Giovanni XXIII”. Sin dall’inizio mi sono trovato… a casa! Molto a mio agio nonostante avessi timore che la mia figura maschile potesse essere vista in malo modo da parte delle ragazze visto che nel loro trascorso di vita precedente hanno vissuto la figura dell’uomo come una minaccia; invece siamo entrati subito in confidenza e sintonia, non mi sono mai sentito un estraneo e questo mi ha reso molto più sicuro, sciolto e meno rigido. Certo, non con tutte le ragazze ho lo stesso rapporto o interazione a causa appunto del loro passato o delle condizioni psicofisiche in cui si trovano, ma ad esempio alcune mi considerano un loro fratello tanto che mi chiamano proprio così: fratello. E io un po’ mi ci sento.
Durante lo svolgimento del servizio mi è capitato di vedere delle scene poco gradevoli ma anche questo fa parte del gioco e dell’esperienza che sto affrontando; spesso rifletto e percepisco la vera sofferenza di queste persone anche solamente guardandole in viso e ciò mi fa molta tenerezza, soprattutto quando magari si aprono e mi raccontano del passato vissuto e delle violenze subite.
Nel mio servizio mi occupo principalmente delle attività interne della casa quali: aiuto in cucina, lavori manuali, sostegno linguistico (alcune ragazze non parlano bene la nostra lingua) e supporto morale con un costante dialogo con loro. In alcuni giorni ho anche il compito di andare nei supermercati convenzionati a recuperare i vari generi alimentari. Aiuto i responsabili della comunità anche nell’organizzazione di attività ricreative, di svago e di reintegrazione nella società come accompagnare le ragazze in palestra, fare passeggiate… questa estate le ho accompagnate tutti i pomeriggi in un oratorio parrocchiale sempre con l’obiettivo di una maggior inclusione sociale.
Mancano ancora 6 mesi circa al termine di questa mia esperienza, il percorso è ancora lungo ma spero di viverli nella maniera più intensa possibile, di aver modo di affrontare nuove situazioni e accrescere il mio bagaglio umano e personale trovando sempre più stimoli e mettendomi sempre più a disposizione delle ragazze e della struttura in generale.