Scritto da George Tsiklis, volontario S.V.E. presso Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

La mattina dell’8 Maggio ci siamo trovati, io, il mio collega SVE e la nostra tutor nella macchina sulla strada per l’“Istituto Tecnico Turistico Marco Polo” a Rimini. Siamo stati invitati dalla scuola in occasione della festa del Giorno dell’Europa per parlare circa il Servizio Volontario Europeo e il Servizio Civile, un tipo di servizio simile ma nazionale. Questa è la nostra prima attività fuori casa da quando siamo arrivati in Italia, quasi tre settimane fa, e siamo un po’ agitati all’idea di parlare di fronte a così molte persone; tutto ci sembra un po’ nuovo e poco familiare. Alla fine siamo arrivati alla nostra destinazione.

L’edificio scolastico grande e pieno di studenti, porta alla mente ricordi di un passato non troppo lontano. Si trova fuori dal centro città vicino al mare, un posto davvero carino. Veniamo accolti dalla segretaria e guidati all’aula dove si terrà la conferenza. Tutto è già pronto, il tavolo dei relatori, le sedute, alcuni volantini e manifesti e nonostante l’istinto ci porti a sederci ordinatamente nelle sedie della platea il nostro posto questa volta sarà sul tavolo dei relatori. Il fatto che ci sia un pubblico desideroso di ascoltare la nostra esperienza mi fa sentire di avere qualcosa di importante che devo condividere.  Ed ora ci siamo. Improvvisamente, la stanza inizia a inondarsi di persone; tutti molto giovani, in gruppi, sorridenti, chiacchierando.

L’insegnante responsabile dell’evento inizia la conferenza riassumendo la ragione di questo incontro e rivolgendosi agli ospiti.
Prendiamo posto sul tavolo e la nostra tutor inizia a chiarire le differenze tra il Servizio Civile e il Servizio Volontario Europeo, menzionando alcune informazioni di base su ciascuno. Questo è un ottimo momento per rivedere mentalmente tutto ciò che vale la pena menzionare e per metterlo in ordine coerentemente. Prepararsi per un discorso non è un compito facile. Guardando gli studenti, tutti seduti, alcuni con occhi spalancati e alcuni un po’ annoiati, penso che alla loro età non ero molto preoccupato di nient’altro che i miei studi ed amici. E perchè loro dovrebbero essere diversi? Siamo venuti nella loro scuola per parlare di qualcosa di nuovo che potrebbe o non potrebbe interessarli. L’unica cosa certa è che non vogliamo offrire loro una presentazione noiosa.
Il nostro turno di parlare è arrivato. Cominciamo presentandoci, con un scherzo o due per alleggerire l’atmosfera e attirare la loro attenzione. Ovviamente la nostra parte della presentazione è in Inglese poiché parlare in Italiano sembra un obiettivo così lontano, che rappresenta per noi una sfida in più, dal momento che non è chiaro se veniamo capiti o no. Gli studenti sono rimasti un po’ sorpresi e ci hanno chiesto di parlare più lentamente, ma a parte questo non abbiamo avuto problemi ad arrivare loro. Abbiamo continuato quasi ininterrottamente a presentare le nostre responsabilità nel programma all’intero ed all’esterno della casa con i ragazzi richiedenti asilo, e sul significato della loro integrazione nella società.
Non ci sono state molte domande, ma ho sentito il bisogno di evidenziare solo una domanda degli studenti, la prima in particolare, che è stata un po’ inaspettata. Ci hanno chiesto cosa sia un richiedente asilo. Ciò mi ha reso inizialmente scettico sul fatto che venissimo compresi dagli studenti, dato che

 queste persone arrivano ogni anno, in Italia in particolare. Dopo alcune discussioni abbiamo scoperto che erano molto consapevoli delle persone che raggiungevano le coste dell’Italia in barche o che entravano nel Paese attraverso i paesi limitrofi, ma non sapevano molto della procedura che le persone attraversano dopo il loro arrivo in Italia (o in realtà qualsiasi altro paese europeo). Ciò solleva molte domande su quanto sia ben informato il pubblico e rende le presentazioni come questa ancora più preziose di quanto inizialmente si pensi.
L’introduzione di così tante persone con background culturali differenti in una società è un evento stressante sia per i richiedenti asilo che per la popolazione nativa. Qualsiasi programma che lavori con i richiedenti asilo dovrebbe affrontare entrambi i problemi poiché l’integrazione è un evento reciproco. Una comunità locale ben informata e uno spazio sicuro per i contatti interculturali tra loro e i richiedenti asilo sono l’unico antidoto al sentimento di sfiducia e confusione.
Così la nostra visita alla scuola è finita. Ce ne andiamo abbastanza contenti della nostra piccola presentazione. Per me ora le attività con la Comunità hanno più significato e sono pronto ad affrontarle più determinato e ben preparato.