Scritto da Claudia Montalbetti, volontaria in Servizio Civile a Monterenzio (BO) nel progetto “2021 CHIAMAMI PER NOME”
Ho iniziato l’esperienza del servizio civile senza sapere bene a cosa stessi andando incontro, anzi potrei addirittura dire che non ne avevo idea, mi è semplicemente sembrata una buona esperienza per la mia formazione.
Cercavo qualcosa che mi permettesse di guadagnare un po’ di soldi, qualcosa che mi impegnasse con serietà e responsabilità, ma non un vero e proprio lavoro, per conciliare agevolmente la mia vita e i miei studi all’università di Bologna.
Penso al servizio civile e, inizialmente, guardo dei bandi su musei, biblioteche, sedi che rimandino ad una staticità e tranquillità. A quanto pare però, è stato impossibile tenermi lontana dal caos. Adesso presto servizio in casa famiglia e ho a che fare con bambini. Credo sia stato un impulso interiore che ha prevalso sull’ambita “pace”, perché probabilmente mi piace sfidarmi e vedere fin dove posso arrivare.
Se guardo indietro, dopo sette mesi di servizio, non mi rendo pienamente conto delle situazioni che ho sfiorato. So che è impensabile arrivare preparati a tutto nella vita, anche se sicuramente nel caso del servizio civile le formazioni aiutano moltissimo. Anche la relazione con gli altri volontari della zona di Bologna e dintorni è stato un supporto fondamentale. Infatti per ora, ho sempre trovato un modo per venire a capo nelle difficoltà o almeno per affrontarle a modo mio.
Tante volte mi porto i “problemi del servizio” a casa e rimugino sull’essermi sentita inadatta. Da questo sono arrivate la tristezza per essermi delusa da sola, ma anche la rabbia, derivata dal sentirsi inadeguate. Ho ripetuto spesso: questo servizio mi fa sentire incompetente, perché in realtà so poco o nulla, so solo che ci provo. A volte penso che tutto quello che le case famiglia avranno da me sarà il tentativo, spesso fallimentare, di rendermi utile.
Per fortuna è solo una parte del servizio civile, altrimenti lo farebbero solamente i masochisti. C’è un’altra parte, speculare ed è fatta da quelle cose che mi rimarranno più impresse. Le risate, la soddisfazione di tornare a casa dopo aver aiutato una bambina a imparare la differenza tra più e per, i balli e canti con gli altri volontari, gli sfoghi che ci siamo vomitati addosso a vicenda, nella speranza di risolvere un problema che probabilmente neanche ci riguardava.
Il bello è che ti prendi a cuore le storie degli altri e impari, impari tanto, dagli incontri, dalle storie che vedi da lontano.
Impari soprattutto l’empatia e che le cose negative esistono ma se siamo insieme le possiamo affrontare, o al massimo farci schiacciare insieme da esse.
Alcune storie mi hanno abbattuta e allora le raccontavo a chiunque mi capitasse a tiro, amici, famiglia; le mie povere coinquiline non mi sopportano più. Così trovavo il modo di uscire dalla mia testa e renderle reali, per distaccarmene o capire il problema che purtroppo, spesso, era complicato da risolvere. Ci è stato detto che l’importante più che risolvere o comprendere un problema (non sempre ne abbiamo le facoltà) è stare accanto alle persone, quello possiamo senz’altro farlo.
Faccio un esempio: una ragazzina rom che aiutavo nei compiti è stata praticamente venduta dalla sua famiglia per diventare futura sposa del cugino più grande. Un episodio che mi ha fatto stare malissimo e, anche adesso mentre lo sto scrivendo, mi viene da piangere. Come se fossi io quella bambina, a cui viene fatta saltare la scuola per andare a lavorare. Io mi sento lei, piccola, sola.
Il servizio civile ti insegna l’empatia per gli altri, e ti fa capire che è illusorio pensare di vivere nel nostro giardino per sempre. Il mondo prima o poi bussa e ti mette davanti la realtà e la realtà è che esistono persone ai margini della società. Bisogna aiutarle perché dimenticando loro dimentichiamo noi stessi, dimentichiamo cosa significhi essere umani. Ma è difficile farlo da soli, perché in quel caso verremmo risucchiati da un buco nero gigante, perché siamo impreparati.
Ci sono bambini abbandonati alla nascita perché nati con disabilità, oppure ragazzini che bullizzano gli altri perché in realtà ne sono spaventati, bambini che si disegnano da soli, completamente soli. La sfida è fargli vedere che c’è altro, ci sono modi più umani di vivere, esistono persone buone che sono con loro, senza abbandonarli.
Nei bambini si vede la società intera! Mi ricordo ai campi bimbi quanto sono stata felice per aver toccato con mano la purezza di questa affermazione.
Ho pianto davvero tante volte. Ho pianto molto per una bambina di due anni, vista per due mesi, e mi ha distrutta la notizia del suo ritorno dalla madre. Per carità, sono stata felicissima per lei, ma egoisticamente avrei voluto che restasse, egoisticamente voglio che si ricordi di me (sono consapevole che non succederà), egoisticamente volevo mancarle.
Credo che incontrare questi sentimenti possa farmi un immenso male e un immenso bene allo stesso tempo. Il lavoro con i bambini mi fa tornare alla mente il ricordo di me bambina, perché tutti lo siamo stati. Il confronto con la me bambina è stato preziosissimo, al di là dei ricordi di tempi bui e dimenticati come le medie (chiunque abbia avuto medie facili è pregato di interrompere qui la lettura).
Sono stata una ragazzina ai margini (d’altronde chi non si vede così almeno una volta). Ricordo ancora quanto mi fece male salutare una prof delle medie, due anni dopo averle finite, e non essere riconosciuta. Rifiutavo di stare al centro dell’attenzione perché se avessi sbagliato qualcosa allora tutti lo avrebbero notato. Mi sono sempre rifugiata nei libri, fino a metà liceo quando ho capito di essermi persa delle cose e delle amicizie solo per paura. Ora essere al centro dell’attenzione mi piace (forse sono passata dal lato opposto), perché almeno gli altri si ricorderanno di me. Ovviamente si spera di essere un ricordo felice, che farà sorridere, ma questo lo sapremo solo in futuro.
Questo carattere mi ha aiutata abbastanza durante il servizio, per qualsiasi cosa mi sono fatta coraggio per chiedere, capire, mi sono esposta. Ho una voglia matta di crescere e sapere tutto (lo so, è impossibile, ma una ci spera). Ho la consapevolezza che non sarò sempre all’altezza, sicuramente sbaglierò, ma avrò sempre qualcuno su cui contare. A fare il servizio civile non si è mai da soli, siamo in tanti, con motivi diversi che ci hanno fatti incontrare, per crescere insieme e per questo ringrazierò a lungo.