Il mio progetto si è svolto in quel di Almir Gabriel, favela di Marituba. Tra giochi, sogni e rifugi, il tempo è passato in maniera veloce e intensa, proprio come si alternano la tempesta e il sole nel Parà.

In questa terra sconfinata, probabilmente lascerò le paure relative all’incolumità, ma non potrò fare a meno di portare con me i sorrisi della maggior parte delle persone che ho incontrato, gli infiniti abbracci dei bambini del progetto, le nostre corse nel fango senza pensarci, le risate che risuonano in tutto il quartiere, insieme alla musica karakeoizzata delle notti più scure, ai concerti delle rane, la sera, dopo la pioggia, e dei passarinhos, in qualsiasi momento della giornata.

E mi mancheranno ogni giorno, uno per uno, i colori e le essenze della tanto fertile terra paraense, ma continuerà per certo a scorrermi nelle vene il suo spirito Amazzonico e caboclo. D’altronde, in questi nove mesi ho capito che, per la sua natura sherdana, la mia Sardegna mi aiuterà a mantenere il filo connesso oltreoceano, quindi, in fondo, è poco quello che lascio rispetto al senso di gratitudine che rimane scolpito negli occhi e nel cuore.

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