Memorie di lotta, semi di pace: la rivoluzione silenziosa della solidarietà
servizio civile estero TestimonianzeScritto da J.S., volontaria in Servizio Civile a Valdivia nel progetto “CASCHI BIANCHI CORPO CIVILE DI PACE – CILE 2024”
In occasione del 25 Aprile, non potendo essere in Italia per celebrare la liberazione dal fascismo, ho comunque sentito il bisogno di rendere omaggio a questa giornata così significativa. Un bisogno che si fa ancora più urgente oggi, in un tempo in cui gli “ismi” tornano a farsi largo e molteplici guerre seminano sofferenza in diversi angoli del mondo.
Anche il Cile, dove mi trovo, ha vissuto un lungo e doloroso periodo di dittatura militare, terminato ormai da anni, ma le cui ferite sono ancora ben visibili, raccontate nei discorsi delle persone e custodite nella loro memoria. Durante il mio tempo qui, ho avuto modo di ascoltare molte storie di quel buio passato, storie che spesso sono rimaste ai margini della giustizia, senza trovare pieno riconoscimento o riparazione.
L’unica cosa che sento di poter fare è ascoltare con attenzione, dare spazio a queste voci e condividere queste memorie con altri, affinché errori così gravi non vengano dimenticati, e soprattutto, affinché non si ripetano.
In occasione della giornata della liberazione, ho avuto l’onore di ascoltare due uomini che potremmo definire “partigiani cileni”. All’epoca della dittatura militare in Cile erano ragazzi, pieni di sogni e di speranze, ma costretti a crescere in un clima di paura e violenza. Hanno visto l’orrore da vicino e, invece di voltarsi dall’altra parte, hanno scelto di resistere.
Facevano parte di quella che è stata chiamata generación perdida, la generazione perduta, cresciuta sotto il regime di Augusto Pinochet, in un paese segnato dalla repressione, dalla crisi economica, dalla disoccupazione e da un controllo capillare dello Stato. Il dissenso veniva represso con brutalità: arresti arbitrari, torture e sparizioni forzate erano all’ordine del giorno. Molti giovani, come loro, hanno perso amici e familiari, diventati desaparecidos per il solo fatto di aver espresso un’opinione, partecipato a una manifestazione, o semplicemente per essersi trovati nel posto sbagliato.
In quel contesto soffocante, la giovinezza fu loro strappata. I sogni si frantumarono troppo presto, insieme alla libertà e all’innocenza. Eppure, nonostante tutto, molti scelsero di non piegarsi e di continuare a lottare contro l’ingiustizia. Sono cresciuti in un tempo che sembrava non lasciare spazio alla speranza, ma proprio per questo hanno imparato a custodirla e a trasformarla in impegno.
Oggi i nomi dei desaparecidos riempiono i muri delle piazze della memoria in molte città del Cile. Ricordano uomini, donne e giovani la cui unica colpa fu quella di desiderare un mondo più giusto e più umano, un mondo di pace.
Ho avuto la fortuna di non leggere i loro nomi su una targa, ma di parlarci direttamente, di ascoltare le loro storie proprio il 25 aprile. In quell’incontro, però, abbiamo parlato poco dei giorni bui della dittatura. Memori dell’impegno sociale che ha caratterizzato gli anni passati, oggi hanno scelto di schierarsi dalla parte di chi, ancora oggi, ha bisogno di essere liberato.