Una direzione nuova e significativa

servizio civile italia Testimonianze

Scritto da Linda Fabris, volontaria in Servizio Civile a Monticello Conte Otto (VI) nel progetto “2022 Il peso della valigia”

Mi chiamo Linda, ho 28 anni e sono una volontaria in Servizio Civile Universale presso la Capanna di Betlemme di Cavazzale, vicino a Vicenza.

La mia decisione di intraprendere il servizio civile è stata guidata dalla volontà di mettermi in gioco nel sociale per dare il mio contributo alla collettività e in particolare alle persone in difficoltà, cimentandomi in questa esperienza con quelli che vengono definiti “gli ultimi”, gli emarginati dalla società.

La struttura dove svolgo servizio, infatti, è una casa di accoglienza di bassa soglia, dove vengono ospitati principalmente senza fissa dimora, stranieri, persone con problemi legati alle dipendenze, ex carcerati e persone provenienti da contesti di sfruttamento lavorativo.

L’obiettivo dell’attività che viene svolta all’interno della Capanna è quello di assistere queste persone, soprattutto con la finalità di fargli acquisire maggiore autonomia e indipendenza all’interno della società.

Per poter fare ciò, la struttura è in continuo contatto con i servizi del territorio quali i servizi sanitari, legali, gli assistenti sociali e altre associazioni, con l’obiettivo di affiancare gli utenti nella risoluzione dei problemi di tipo personale, sanitario e burocratico che li riguardano.

Se guardiamo, ad esempio, a molti immigrati che arrivano nel nostro territorio, ci accorgiamo di quanto sia difficile per loro scontrarsi con la burocrazia italiana per ottenere i documenti per poter rimanere legalmente nel nostro paese, cercare un lavoro sicuro, giustamente retribuito e in sicurezza ed essere assistiti dal sistema sanitario nazionale.

Ho avuto modo, durante il mio servizio, di poter aiutare in modo concreto alcuni di questi ragazzi, accompagnandoli in questura per il rilascio del permesso di soggiorno o nel percorso per ottenere una propria tessera sanitaria.

Inoltre, l’attività che svolgiamo mira a un miglioramento del singolo nell’acquisire maggiore capacità nello svolgimento delle attività quotidiane, per permettere agli accolti di poter gestire in futuro la propria vita in modo autonomo. Questo si traduce, banalmente, nell’accompagnarli nelle attività domestiche quali le pulizie degli spazi comuni, la preparazione dei pasti, la cura e pulizia del proprio corpo o l’assunzione di piccole responsabilità come quella di occuparsi degli animali che ospitiamo.

Nel corso dei miei mesi di servizio, abbiamo anche organizzato qualche piccola festa per permettere agli utenti di cimentarsi nella preparazione dell’evento, cucinando la pizza assieme e condividendo dei momenti di gioia e musica con altri amici.

La mia decisione è stata da subito quella di immergermi a 360° nella vita in comunità, scegliendo di trasferirmi per questo anno in Capanna e condividendo la quotidianità con le persone che vi sono accolte.

Questo ha permesso alla mia vita di prendere una direzione completamente nuova e significativa, imparando a conoscere un contesto prima d’ora a me sconosciuto. Ho imparato ad ascoltare le loro storie, quasi sempre molto travagliate, comprendendo meglio le loro sfide e cercando di dare il mio supporto pratico ed empatico.

Infatti, nella vita di tutti i giorni non accadono grandi cose, però quello che ho osservato dopo questi mesi di servizio è che tutti loro, indipendentemente dalla propria situazione di difficoltà, sono accomunati dallo stesso bisogno, cioè quello di avere qualcuno vicino con cui parlare liberamente, senza sentirsi giudicati ma anzi essere ascoltati e accolti con rispetto ed empatia.

Essendo a contatto tutto il giorno con persone di diverse nazionalità, ho spesso la grande opportunità di conoscere meglio culture diverse e lontane, attraverso i loro racconti, l’ascolto delle loro canzoni e anche provando i piatti tipici di altri paesi che vengono preparati dai ragazzi: ho potuto anche assaggiare alcune pietanze del Marocco, come il pollo con verdure preparato nel “tagine”, o il famoso “chapati”, una sorta di piadina con cui si accompagnano le pietanze, preparato da alcuni accolti pakistani.

Ad oggi sento che questa esperienza ha avuto un impatto molto forte nella mia vita, è stata ed è un’opportunità unica di crescita a livello personale e la consiglio ad altri giovani che intendono cimentarsi in un contesto nuovo per dare il proprio contributo in modo significativo a chi ha più bisogno di aiuto.