I “dimenticati” di San Pedro

servizio civile estero Testimonianze

Scritto da Giulia Martello, Casco Bianco in Servizio Civile a La Paz nel progetto “CASCHI BIANCHI CORPO CIVILE DI PACE 2022 – BOLIVIA

La Paz – Il carcere di San Pedro, si trova in pieno centro di La Paz, capitale della Bolivia, e occupa tutto il lato Sud di quella che per l’appunto è conosciuta come Plaza San Pedro anche se ufficialmente è denominata Plaza Sucre. Situato in una zona urbana, a due passi dalla cattedrale di San Francisco, centinaia di persone ci passano davanti ogni giorno e l’unica cosa che salta alla vista sono gli alti muri e le interminabili code di persone che aspettano di entrare per far visita a familiari o amici. Non è facile immaginare che proprio dietro quelle mura vivono nascosti quasi 4.000 uomini, in uno spazio che è stato sviluppato per contenerne più o meno la metà. Una piccola città dentro la città.

Non esistono regole a San Pedro, la polizia è presente solo agli accessi, per il resto la prigione è “autogestita” dai detenuti (pratica che è stata denunciata anche recentemente da molti internati alla Defensoria del Pueblo il cui Informe 2022 si può leggere  qui), che sono quindi responsabili di loro stessi: dalla pulizia alla cucina, alle attività, l’unica legge che vale è quella del più forte, o in molti casi del più ricco. Il carcere è diviso in zone, alcune migliori (per i ricchi, i politici, i narcotrafficanti) altre peggiori, come quella che è definita “poblacion”, il corpo centrale del carcere, un cortile in cemento, circondato da 5 livelli di celle o semplici stanze vuote, ai piani alti qualche ufficio, su un lato la cappella, il luogo dove risiede la maggior parte dei detenuti, nello specifico quelli appena arrivati. Quasi tutti entrano prima di aver ricevuto una sentenza, e possono rimanere mesi o addirittura anni in attesa, per poi scontare la pena deliberata. Non ci sono sconti, a meno che tu non abbia i contatti giusti o abbastanza soldi e il caso più comune è finire in “poblacion”, a lottare per sopravvivere. C’è chi dorme per terra, altri tutti insieme in uno stanzone, chi tranquillo in un letto.

C’è chi ha un cellulare, la televisione e chi a malapena una maglietta e un paio di pantaloni; solo un pasto al giorno è garantito, altrimenti si paga; gli stranieri quasi sempre vengono presi di mira ed aggrediti, così come i giovani e i deboli, le guardie non intervengono, non controllano, al massimo chiedono denaro. “Ho visto portare via almeno 2 o 3 corpi alla settimana” così racconta un ragazzo di 21 anni in una delle comunità terapeutiche della comunità Papa Giovanni XXIII, dopo più di un anno passato in carcere.

LEGGI L’ARTICOLO COMPLETO SU ANTENNE DI PACE