Scritto da Sara Pozzi, volontaria del progetto di Servizio Civile Italia “2019 In rete con il futuro” a Rimini.
Eccomi qua, a raccontare questo anno di servizio civile. Un anno a dir poco sconvolgente e, senza dubbio, pieno di sorprese!
Dopo aver scoperto di essere stata selezionata come volontaria in servizio civile, mi sentivo particolarmente soddisfatta. Ero felice: le selezioni erano andate bene, mi ero laureata da poco e volevo scoprire il mio posto nel mondo e l’opportunità del servizio civile sembrava fatta apposta per me. Ovviamente la gioia e la paura erano due emozioni che si mescolavano continuamente, perché avrei iniziato un percorso nuovo ed ero consapevole che l’anno che mi aspettava mi avrebbe cambiato profondamente.
L’attesa dell’inizio del servizio è stata infinita, da un lato non vedevo l’ora di iniziare, dall’altro temevo di non essere all’altezza della sede da me scelta, un centro diurno con ospiti con disabilità piuttosto grave.
Alla fine, inesorabilmente, il 20 Febbraio è arrivato e con trepidazione ho iniziato il mio anno di crescita personale e professionale, mentre nel mondo è iniziato a diffondersi con gravità sempre maggiore il Coronavirus. Ed ecco che dopo neppure 10 giorni di servizio tutto si blocca. Non avevo fatto in tempo neppure ad imparare qualche nome dei ragazzi presenti nel centro che tutto si interruppe bruscamente, senza un saluto. 10 giorni in cui le mie paure iniziali si erano dissolte, in cui la mia curiosità era alle stelle e in cui avevo scoperto che la mia scelta, seppur casuale, era adatta a me. Mi sentivo a mio agio.
Poi tutto si è interrotto.
Mille dubbi e mille domande. Quando ricomincerò? Ci sarà la possibilità di ripartire? Non è che il servizio civile verrà interrotto per cause maggiori? Ritornerò nella sede da me scelta? Sarò all’altezza di superare questo bruttissimo momento e ricavarne qualcosa di positivo? Mi ammalerò? Qualche mio caro se ne andrà? I ragazzi del centro stanno tutti bene?
Ansie, paure e desolazione si susseguivano senza sosta e venivano continuamente alimentate dalle tremende notizie dei telegiornali. Cercavo di tenermi impegnata ma i miei pensieri spesso ritornavano a quei 10 giorni, in cui avevo dato tutta me stessa e che ormai mi sembravano solo un ricordo lontano e sbiadito. Mi sembrava impossibile avere la possibilità di ritornare al centro o, in ogni caso, di tornare alla normalità.
Poi è avvenuta la svolta.
Mi hanno proposto un’attività alternativa, nuova, nata proprio nell’emergenza, per aiutare le famiglie che, rimaste senza lavoro, avevano enormi difficoltà ad affrontare il periodo di lockdown.
Mi sono ritrovata quindi in un magazzino dove la solidarietà e l’amore per il prossimo erano i due elementi che guidavano le azioni di ogni volontario. I sorrisi non si vedevano perché coperti dalle mascherine ma gli occhi di ogni volontario erano in grado di esprimere l’amore per l’altro, la preoccupazione ma anche la gioia di stare insieme in un periodo così difficile.
Il lavoro al magazzino era completamente diverso da quello del centro diurno: il mio compito era quello di contare e smistare i prodotti alimentari, riempire scatole, caricarle in macchina e partire per la consegna. Un compito che così descritto sembra ingrato ma in realtà tutti eravamo mossi da un profondo senso del dovere. Tutti eravamo consapevoli dell’importanza della nostra missione.
Così è passato il tempo dell’emergenza. Un modo bellissimo per spezzare la routine drammatica della pandemia. Un modo per sentirsi utili. In quel magazzino ho trovato nuovi amici, persone fantastiche e di gran cuore.
Oltre alla consegna dei pacchi alimentari ho avuto anche la possibilità di avvicinarmi ad alcune famiglie per poter aiutare i bambini nei compiti, vista la chiusura anticipata delle scuole. Anche questa è stata un’esperienza fantastica che spero di poter riprendere in futuro.
Ed infine è arrivato luglio, la situazione Coronavirus sembrava migliorare e sono stata richiamata nella mia iniziale sede di servizio civile.
Con rammarico ho salutato i bambini con cui avevo iniziato l’attività di doposcuola ma con grande gioia sono ritornata al centro diurno.
Ora sono ancora lì, nel centro da me scelto, contenta della mia decisione. Mi reco al centro ogni giorno con la consapevolezza che il mio ruolo, al suo interno, è davvero speciale. Per i ragazzi presenti all’interno del centro, il centro stesso rappresenta l’unica possibilità di vita vera al di fuori dell’ambiente familiare. Per loro, quelle ore, sono di vitale importanza per uscire dal loro isolamento e dalla solitudine. Al centro possono esprimersi, possono migliorare, possono respirare libertà. Questo mi permette di andare al centro con il sorriso, con la voglia di stare con i ragazzi, di scambiare con loro qualche parola, qualche gesto o un semplice sguardo. Questa realtà mi ha permesso di comprendere come siano fondamentali le piccole cose, un piccolo gesto, una carezza sulla guancia, una acconciatura sistemata alla bell’è meglio, una pacca sulla spalla. Sono tutte azioni che nella loro semplicità possono, per certe persone, fare davvero la differenza. Il contatto fisico, che ora ci è negato, è per questi ragazzi forse uno degli unici modi di entrare in comunicazione con l’altro, di entrare in contatto. Ed è dal contatto che nasce una reazione, un sorriso in risposta al solletico, uno scatto per via delle mani fredde. Con il contatto confermi la loro presenza e allo stesso modo comunichi di esserci.
Il centro mi ha inoltre permesso di capire come una persona con una disabilità grave/gravissima, che sembra rinchiusa nel suo mondo, in realtà è in grado di esprimersi, di raccontarsi e di farsi valere. Spesso si pensa alle persone disabili come soggetti passivi, a cui poter fare tutto perché non vedono, non parlano, non capiscono. E invece non è affatto così! Loro hanno preferenze, loro ti scelgono. Non sei tu che decidi di fare qualcosa con loro, ma sono loro che ti permettono di entrare nel loro mondo, di capirli e comprenderli. Sono loro che ti offrono la chiave di accesso, una chiave che deve essere conquistata, con il rispetto, la fiducia, il compromesso e la tolleranza reciproca.
E poi arrivi al punto in cui ti basta uno sguardo per capirli e allora sai già, dal modo in cui varcano la soglia, che quella non è una bella giornata, e allora ti armi di pazienza e comprensione o, al contrario, vedi che finalmente quel giorno è “un giorno buono” e allora anche tu, che stai con loro, gioisci della loro contentezza, sorridi perché loro sorridono e quelle sì che sono le vere belle giornate!
Questo anno è stato veramente importante per me, speciale e ricco di emozioni ed esperienze. Mi emoziono al pensiero che stia volgendo al termine. So che la fine del servizio civile sarà accompagnato da una profonda tristezza ma anche da una grande consapevolezza: quella di aver incontrato persone speciali e, anche grazie alla pandemia, di aver avuto la possibilità di fare esperienze di grandissimo valore.